Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  settembre 29 Martedì calendario

Il fenomeno Paulo Sousa. Potrebbe somigliare alla versione umile di Mourinho. Nel lavoro sul campo, ma anche nella comunicazione, arte in cui eccelle, per educazione e capacità di cogliere nel segno. L’allenatore della Fiorentina ha almeno cinque libri sul comodino e altrettanti sulla scrivania: Pessoa, leadership, motivazione, gestione aziendale, cucina. E Firenze ha deciso di seguirlo: «Sognare non basta ma è il primo passo»

Un sostantivo: sogno. Un verbo: vincere. Ecco le due parole preferite da Paulo Sousa, un uomo che ha vinto con la Juventus e poi ha battuto il suo passato con la maglia del Borussia in una finale di Champions. Un allenatore che sulle figurine dell’epoca ha un taglio grunge e l’aria da bello maledetto e adesso è riapparso all’improvviso nel campionato italiano più magro e coi capelli grigi e corti per ribaltare San Siro e il paesaggio davanti agli occhi dei tifosi viola. Fiorentina in vetta. Sembra incredibile, ma forse non lo è. Anche perchè Sousa ai suoi giocatori glielo aveva detto: «Seguite me e lotteremo nelle posizioni alte della classifica». Loro gli hanno creduto, evidentemente, e adesso eccoli lì. Da brutti ma vincenti a belli e letali. Firenze gode, e c’è da capirlo. Il portoghese d’altra parte non nasconde un certo orgoglio davanti al paragone col Trap, l’ultimo allenatore che ha portato la Fiorentina in vetta, diciassette anni fa, quando c’erano Batistuta ed Edmundo. Il primo si ruppe, l’altro volò al Carnevale di Rio. E il sogno finì lì. E adesso? Beh, ora siamo solo all’inizio, ma intanto per Sousa è una bella soddisfazione trovare cinquecento tifosi alle due di notte alla stazione a fare festa. La Fiorentina era un grande dubbio, il suo cinismo tattico stonava un po’ con i ricordi a colori del tiki taka montelliano. Già, ma lui non ha più Pizarro e Aquilani e si deve accontentare di un mercato fatto di fughe eccellenti e pochi soldi da spendere. Ma il tecnico non si arrende. Lui dice sempre: «Sognare non basta, ma intanto è il primo passo». Sousa è un idealista pragmatico. «Cucino la frittata con le uova che ho a disposizione». Ma una soluzione si trova sempre. Basta ascoltare il suo consiglio: compriamo Kalinic, datemi retta. Detto fatto: 5,5 milioni al Dnipro e il croato ha già messo insieme i gol di Gomez, uno costato tre volte Kalinic e con uno stipendio moltiplicato per quattro. Ma chissà cosa prova un allenatore dopo una notte come quella di San Siro. «Era semplicemente felice», racconta un suo collaboratore, e Lapalisse non è poi così lontano. Anche se in quella semplice felicità c’è la vita di un uomo che ha imparato a riconoscere i confini dell’ego e a vivere lontano dall’arroganza. Diciamo che Sousa potrebbe somigliare alla versione umile di Mourinho. Nel lavoro sul campo, ma anche nella comunicazione, arte in cui eccelle, per educazione e capacità di cogliere nel segno. L’allenatore della Fiorentina ha almeno cinque libri sul comodino e altrettanti sulla scrivania: Pessoa, leadership, motivazione, gestione aziendale, cucina. Sousa studia, lavora e ringrazia sempre i tifosi ogni volta che può, soprattutto i bambini. Sarebbe un ottimo politico, il problema è che ci sta che sia davvero sincero. E sul gioco c’è poco da dire: il mediano che è in lui pensa per prima cosa a schermare la difesa per poi bucare l’avversario in velocità. Ma la potenza di una squadra capace di vincere cinque partite su sei in campionato sta nella forza interiore che si trasforma in coraggio, quello con cui la Fiorentina è scesa in campo a Milano. E il coraggio è quello di un allenatore che nella sua scelta professionale ha deciso la strada della curiosità, evitando scorciatoie e scegliendo di allargare i confini del suo mondo: Inghilterra, Ungheria, Israele, Svizzera. Paulo Sousa ha attraversato culture e assorbito storie. Parla cinque lingue e ama vivere in campagna con la seconda moglie Cristine e i tre cani. Poi alle otto di mattina si presenta all’allenamento e saluta tutti con un sorriso. Per il suo futuro ha un progetto chiaro: diventare un grande chef. Nel frattempo cucina le uova che gli passa Della Valle. Molto bene, a occhio.