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 2015  settembre 29 Martedì calendario

Il fallimento infinito della metro di Roma. Ancora una giornata di caos per i trasporti della Capitale: si staccano le batterie di un treno, alla fermata di piazza di Spagna crolla un controsoffitto e la linea A resta chiusa per otto ore. L’assessore Esposito ha smesso di scherzare: «È tutto vecchio,siamo appesi alla fortuna». Poi batte in ritirata: «Qui mi menano»

Il fato, la sorte o forse un destino beffardo ha aspettato che Stefano Esposito – l’assessore di Roma che tifa contro la Roma – salisse sulla metropolitana, e poi ha dato il via al lunedì nero della linea A. Prima un gran botto, poi il fumo, una forte puzza di bruciato, e addio metro. La centrale ha premuto il grande pulsante rosso: treni fermi per sette ore e tre quarti. Tutti fuori, di corsa, non per la paura ma per dare l’assalto agli autobus, nella disperata corsa per timbrare in tempo il cartellino. Un gran botto alle otto del mattino, e ancora una volta i romani si sono accorti di non poter più contare sulla loro metropolitana, che un pomeriggio s’incendia e una notte s’allaga, una mattina chiude perché due treni hanno tamponato e il giorno dopo si blocca per lo sciopero bianco dei macchinisti.
«Benvenuti nella capitale!» grida ai turisti un giovanotto in bermuda che a Ottaviano scavalca lesto la fila per salire in tempo sulla navetta MA5, che chissà quando arriverà a San Giovanni. Un fiume di gente – ex passeggeri, o mancati passeggeri, o aspiranti passeggeri – sale le scale che portano in viale Giulio Cesare, puntando il primo autobus che si avvicina. Cerco nelle loro facce la rabbia di chi non ne può più, e invece trovo la rassegnazione di chi non si stupisce più di nulla. «Chiuso, cerrado, out of order» scandisce la guardia giurata con la fascia gialla dell’Atac sul braccio sinistro. «Termini closed, Battistini only» grida un suo barbuto collega mettendo le mani a imbuto davanti alla bocca, come un megafono, e davanti al disorientamento di una comitiva di giapponesi, tutti con il bottoncino rosso appuntato sulla maglietta, li spedisce sulla navetta alternativa: «Bus M1, left, left», salite le scale a sinistra e poi girate ancora a sinistra. Il bus, dopo un po’, arriverà. Pieno come una scatola di sardine, naturalmente.
Ma cosa diavolo sarà successo, di così terribile, per bloccare per otto ore – dall’apertura degli uffici all’uscita delle scuole – la metropolitana di una capitale? Esposito, l’assessore ai Trasporti che con infelice tempismo aveva scelto proprio questa giornata per fare un’ispezione in incognito nella metropolitana, prima twitta così: «Si è staccata una controvolta della galleria a cui è ancorata la linea aerea. #odioilunedì». Poi fa una rapida indagine e improvvisa un racconto più articolato di una controvolta contro una linea aerea: «Mi riferiscono che si è staccato un pacco di batterie del treno che poi ha colpito il montante della calotta della galleria. Si tratta di un oggetto di due metri per uno, della grandezza di un comò».
Ma come fa un oggetto grande quanto un comò a staccarsi da un treno? Risposta dell’assessore: «Ancora non si sa. O è stato un cedimento strutturale o il pacco batterie è stato lasciato aperto dopo una manutenzione. È tutto vecchio in questa città, sono troppi anni che non si fa manutenzione, e allora non si può pretendere che le cose funzionino a dovere». Già, figuriamoci.
«Have a good time in Rome» augura il grande cartello rosso all’ingresso della stazione Spagna, ma una lunga cancellata sbarra l’accesso alle scale mobili che sprofondano verso la metropolitana. E intanto arriva un uomo in bici, con la barba e la fascia tricolore. Sembra il sindaco, e invece è Ballantini, il finto Marino di “Striscia la notizia”. E quando trova la strada sbarrata, lui fa il suo numero: «Ah è chiusa? Ma sì, facciamola diventare un rudere. Tanto io vado in bici!». Nessuno, però, qui ha voglia di ridere. «No, la gente non protesta più» mi dice il vigilante che ripete pazientemente “metro closed”. «La verità – sussurra con quel disincanto di cui i romani sono maestri – è che se semo abituati a tutto». Pausa. «Io però me so’ rotto li cojoni».
Sì, i romani ormai sono pronti a tutto, quando scendono le scale mobili – se non sono guaste – della metro. Un lunedì d’agosto un incendio affumica le stazioni di San Giovanni, Manzoni e Re Di Roma: evacuate in gran fretta. Un venerdì di giugno un treno della linea B tampona a gran velocità un convoglio appena entrato in funzione a Eur Palasport: 21 passeggeri finiscono in ospedale. Un giovedì di luglio i pendolari della linea B si accorgono che il treno imbocca la galleria sotto Castro Pretorio con tutte le porte aperte: panico, urla, svenimenti. Un sabato sera di settembre il treno della Roma- Lido si ferma improvvisamente nel tunnel dopo la stazione di San Paolo («Una scintilla, un botto e un bum» twittano dal vagone) e i passeggeri si incamminano nel buio della galleria, seguendo i binari verso la luce della stazione. La gente sopporta, ma fino a un certo punto. E un venerdì 17 di aprile, quando il macchinista si rifiuta di partire perché da cinque minuti è scattato lo sciopero, i passeggeri che erano sul treno da venti minuti lo costringono a mettere in moto e a portarli a Cinecittà, aprendo uno scontro frontale tra i cittadini e gli uomini dell’Atac che dura ancora oggi, lasciando ai romani il dubbio – non infondato – che ormai la loro metropolitana sia un sistema fuori controllo, dove ogni giorno può capitarti di tutto.
«Purtroppo siamo appesi alla fortuna» avverte l’assessore, che fino a un mese fa confessava candidamente di non conoscere neanche il percorso del 64, il bus più popolare della capitale. E con questo augurio taglia la corda: «Spero che non mi riconoscano, altrimenti la gente giustamente mi mena». Per oggi gli è andata bene, domani chissà.