Il Messaggero, 29 settembre 2015
«Evidentemente per qualcuno era una missione scomoda»: Matteo Salvini vede un complotto italo-nigeriano dietro il visto negato dal governo di Abuja alla spedizione padana "Aiutiamoli a casa loro", con cui 19 leghisti capitanati dal leader avrebbero voluto «portare lavoro e investimenti» nel Paese africano. «Loro vengono da noi senza documenti, mentre noi non riusciamo ad andare da loro neanche quando i documenti ce li abbiamo: loro sanno difendere i loro confini e noi no». Prossimo obiettivo: Marocco
Si era vaccinato contro la febbre gialla. Matteo Salvini. E come lui anche gli altri 19 leghisti della delegazione pronti a imbarcarsi per la Nigeria, paese in cui il virus della malaria è ancora diffuso. Aveva smaltito con qualche difficoltà gli effetti. Due giorni a letto con un rialzo significativo della temperatura. Poi all’ultimo istante la doccia fredda: niente visto. Il Consolato del Paese africano gliel’ha negato, apparentemente per problemi di natura burocratica. Salvini ha voluto che i primi a saperlo fossero gli ascoltatori di Radio Padania: «Avevo pronta la valigia, sarei andato con una delegazione di imprenditori che avrebbero voluto portare lavoro e investimenti in un Paese che potrebbe essere ricchissimo». Viaggio annullato dunque e addio alla missione “aiutiamoli a casa loro”. Era stata annunciata in piena calura estiva, il 16 agosto. Erano i giorni in cui sulle coste italiane sbarcavano con cadenza quotidiana centinaia di immigrati «il 29, 30 settembre e il primo ottobre prendo un aereo e vado in Nigeria», aveva annunciato Salvini, «anche se in realtà – aveva aggiunto punzecchiando il nostro ministro dell’Interno – ad andarci dovrebbe essere Alfano».
«MISSIONE SCOMODA»
Ora che il viaggio è sfumato il leader leghista pensa a una congiura. E attacca: «Evidentemente a qualcuno dava fastidio e quindi ho ritirato il passaporto senza il visto, per qualcuno era una missione scomoda». Riferimento a presunte pressioni che avrebbero convinto i nigeriani a negargli gli ingresso.
Salvini insomma l’ha presa male. Da quasi due mesi stava preparando la missione. Ci teneva, «non andavo mica a Portofino in piazzetta. Lì avremmo rischiato la nostra incolumità fisica in una terra ricca che ha però problemi sociali non indifferenti». Il paradosso, secondo Salvini «è che loro vengono da noi senza documenti, mentre noi non riusciamo ad andare da loro neanche quando i documenti ce li abbiamo», perché «loro sanno difendere i loro confini e noi no».
Per il visto occorreva il nulla osta del governo di Abuja che per rilasciarlo impiega però un certo numero di giorni. La richiesta sarebbe arrivata fuori tempo massimo. Nessun veto, insomma. È un fatto però che il visto sia stato negato anche a Toni Iwobi, un cittadino nigeriano che avrebbe fatto parte della delegazione. È arrivato in Italia con un visto da studente e ora è il responsabile Immigrazione della Leganord. L’unico a ottenerlo è stato l’eurodeputato Lorenzo Fontana.
ORA IN MAROCCO
Che il viaggio della carovana leghista non sarebbe stata una passegiata si sapeva. Il sito www.viaggiaresicuri.com, aggiornato il 26 settembre scorso, sconsiglia vivamente ai cittadini europei di avventurarsi nelle regioni del Nordest dove imperversano i terroristi di Boko Haram. Viaggi limitati allo stretto necessario per l’elevato rischio di rapimenti.
La delegazione sarebbe stata ricevuta dal vice presidente nigeriano Yemi Osibajo. Il programma prevedeva quindi lo spostamento da Abuja, capitale economica e commerciale, a Lagos, per poi ripartire il primo ottobre, giorno in cui in Nigeria è festa nazionale e il rischio di attentati è ancora più forte. Ma Salvini non si perde d’animo. Fallito un viaggio, ne sta programmando un altro. Più semplice: in Marocco. anche se il rammarico resta, «mi spiace perché ci avevo messo tempo e attenzione ma se non mi mettono il timbrino...».