la Repubblica, 28 settembre 2015
Che fine ha fatto la Juventus? Fiacca e senza leader, l’incerta ricostruzione che confonde Allegri. Dopo la sconfitta di Napoli, la terza in sei giornate, viaggio dentro la crisi di una squadra che ha dominato per quattro anni
La Juve non si sta estinguendo perché un meteorite è precipitato sulla terra. La Juve non è un dinosauro. Quello che è diventata è la conseguenza di scelte, decisioni, sbagli e calcoli, e se c’è una componente di casualità (non può essere definita una squadra fortunata, di questi tempi) la si può definire marginale. In più,c’è la sensazione che i campioni d’Italia non siano preparati alla gestione del momento. «Le partenze dei big non devono essere un alibi» dice Buffon, il capitano, senza però mai mettere le parole “soluzione” e “problema” nella stessa frase. Un altro dei leader, Evra, racconta che «adesso dobbiamo svoltare e vincere dieci partite di fila», ma non sa spiegare come. La Juve è una squadra sorpresa prima di tutto da se stessa, eppure sapeva da mesi di essere attesa da un anno complicato, definito ora “zero” e ora “di transizione”. Però s’è fatta prendere in contropiede. E l’assist, come Hernanes a Higuain, l’ha fatto uno dei suoi.
I PROGRAMMI
La Juve aveva progettato un cambiamento, sapendo che doveva essere brusco e che si è inasprito dopo la cessione di Vidal, non del tutto pianificata. Si è mossa per tempo, non ha cercato surrogati ma ha investito sul talento e si è data un obiettivo con largo anticipo: questa sarebbe stata una stagione difficile, e forse senza vittorie, ma nella quale avrebbe dovuto nascere la squadra capace di vincere nei prossimi cinque anni. Non si può dire che il progetto sia già abortito, ma forse le strategie di mercato non sono state le migliori.
I RINFORZI
Il punto è soprattutto Dybala: valeva la pena spendere 40 milioni per una giovane punta di qualità avendo in casa tre giovani punte di qualità, ovvero Morata, Berardi e Coman? E se quei soldi fossero stati dirottati su un grande trequartista? Muoversi sul mercato con 40 milioni in tasca e in anticipo sul suk estivo avrebbe sicuramente portato risultati. Invece la Juve ha volutamente scelto Dybala, assecondando la volontà di Berardi di rimanere ancora un anno a Sassuolo (Berardi che segna il doppio di Dybala) e preferendo sacrificare Coman, che nel Bayern (nel Bayern!) è titolare. Secondo Allegri, Coman ha le stimmate del fuoriclasse. Dybala, invece, deve ancora essere verificato. È costato tantissimo anche Alex Sandro (26 milioni per un terzino che a giugno si sarebbe svincolato!) mentre al tipo di giocatore più necessario sono stati dedicati i rimasugli, a livello di soldi e di tempo, rintracciando Hernanes l’ultimo giorno di mercato. Allegri aveva altri programmi, e ha dovuto cominciare l’annata quasi senza sperimentazione.
LA TATTICA
Però l’allenatore ha aggiunto confusione a confusione, alternando moduli e uomini, spostando giocatori, radendo al suolo ogni punto di riferimento. In una situazione come questa, bisogna lasciare da parte la ricerca e rifugiarsi nella staticità. Scegliere una formazione e insistere su quella, per il turn over c’è sempre tempo. Invece Allegri ha ragionato come se avesse per le mani la squadra dell’anno scorso, che aveva una personalità e una fiducia in se stessa tali da potersi permettere qualsiasi sballottamento. E anche agli occhi dei giocatori è parso esitante, incerto, anche se Evra lo difende dicendo che «nessuno come lui mi ha mai preparato con così tanta cura ad affrontare una partita». Però ha dato la sensazione di andare alla ricerca di soluzioni per tentativi, non per convinzione. Le sta provando tutte, in pratica: certe volte è un segno di debolezza.
GLI INFORTUNI
Sono una delle cause principali e fanno capo alla voce “sfortuna”, che la si rintraccia analizzando i rapporti tra tiri e gol fatti e tiri e gol presi. Ci sono delle ragioni per i malanni, soprattutto muscolari: la Juve è stata l’ultima a finire la stagione (a Berlino) e la seconda (dopo la Samp) a ricominciarla, a Shanghai. La preparazione è stata forzatamente compressa e le gambe ne hanno risentito, soprattutto quelle di giocatori logori (Barzagli) o predisposti all’infortunio (Khedira, ma anche Marchisio). Però le vecchie volpi del calcio sanno che ci si infortuna meno quando si lavora con attenzione, concentrazione, determinazione. Quando non si lascia nulla al caso nemmeno nel cibo, nel tempo libero. Quando l’allenamento è affrontato con la predisposizione mentale di una partita. È probabile che gli juventini abbiano un po’ mollato, e si passa a un altro punto.
LE MOTIVAZIONI
Per tre anni Conte era stato un severissimo controllore (e alla fine la squadra non ne poteva più di lui). Nel quarto la squadra si è motivata da sé: il bisogno di dimostrare al vecchio e insopportabile allenatore di poter fare a meno di lui è stata una molla formidabile. Al quinto, in troppi hanno abbassato l’attenzione e Allegri non ha saputo assorbire per intero la leadership morale, che prima condivideva con Pirlo e soprattutto con Tevez. La società non lo ha aiutato, in questo senso: pubblicamente non ha voluto abbassare il tiro degli obiettivi, ma ha inoculato nel gruppo la certezza della transizione, al punto che i giocatori si sono convinti che, qualunque cosa fosse successa, quest’anno non avrebbero vinto niente e, soprattutto, non avrebbero avuto il dovere di farlo. I giovani, che non sembrano dei cuor di leone, si sono trovati disorientati. E i giovani meno giovani, tipo Morata e soprattutto Pogba, stanno deludendo moltissimo soprattutto sul piano morale, avendo sconfinato nella presunzione. Allegri aveva inquadrato Pogba, e i suoi difetti, già l’anno scorso, ma si è trovato isolato nel rapporto con lui: alla società ha fatto invece comodo metterlo sul piedistallo. Che non è, almeno al momento, il posto suo. In campo manca una guida, questo è lampante. Pogba non sa neanche guidare se stesso, anche se Evra giura «che non si è montato la testa, non sarebbe da lui».