La Stampa, 28 settembre 2015
Cosa succede ora in Spagna? Non solo il separatismo catalano ricaverà da queste elezioni regionali un’ulteriore spinta, ma quello che è da prevedere è che si registrerà un inasprimento del suo scontro con Madrid. Già abbiamo visto il tentativo di predisporre un’Agenzia delle entrate catalana, e di iniziare la formazione di «giudici catalani». È quindi prevedibile uno stillicidio di azioni e reazioni a livello politico-amministrativo, aspre e difficili da controllare
Nel Parlamento regionale catalano, quello che gli indipendentisti vorrebbero si trasformasse in Parlamento nazionale, ci sarà una maggioranza di rappresentanti favorevoli alla secessione. La vittoria elettorale degli indipendentisti risulta netta.
E adesso? È vero che non si è trattato di un referendum, e che comunque la netta maggioranza di seggi conquistata dai partiti indipendentisti non riflette una schiacciante maggioranza in termini di voto popolare: dai risultati finali risulta una percentuale al di sotto del 50 per cento.
E allora? Non è successo niente, come forse qualcuno a Madrid si affretterà a dichiarare? No, è successo qualcosa di importante e grave, e la vicenda del separatismo catalano sembra destinata a continuare a tormentare e forse anche a destabilizzare la Spagna. Non solo infatti il separatismo catalano ricaverà da queste elezioni regionali un’ulteriore spinta, ma quello che è da prevedere è che si registrerà un inasprimento del suo scontro con Madrid. Già abbiamo visto il tentativo di predisporre un’Agenzia delle entrate catalana, e di iniziare la formazione di «giudici catalani» – il tutto coerentemente con la decisione di preparare (nel giro di 18 mesi) le strutture di un nuovo Stato. È quindi prevedibile uno stillicidio di azioni e reazioni a livello politico-amministrativo, aspre e difficili da controllare.
Forti ripercussioni si registreranno indubbiamente anche a livello politico centrale, dato che la «questione catalana» influirà, e non poco, sulle elezioni al Parlamento nazionale, la cui data non è stata annunciata ma che si terranno probabilmente il 20 dicembre – elezioni che si terranno sotto la prospettiva niente meno che di una possibile disgregazione dello Stato spagnolo, con la perdita di una delle sue due originarie ed essenziali componenti, quelle che si unirono al tempo dei «Re Cattolici», Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona. Ma non è solo una questione di radici storiche, dato che si tratta di una regione che è responsabile del 20 per cento del Pil spagnolo.
Non è da escludere che di fronte a questa straordinaria sfida possa prendere corpo, in un momento in cui il bipartitismo sembra ormai cosa del passato, l’ipotesi di una «Grande Coalizione» Partido Popular (Pp)/Partito Socialista (Psoe).
Certo, per il Pp sarebbe molto più facile pensare a una coalizione con «Ciudadanos», il partito nato in Catalogna che ieri ha riportato il miglior esito tra tutte le forze antiseparatiste e che rappresenta un centro-destra giovane, moderno e neoliberale, ma i numeri che emergeranno dalle elezioni di dicembre per i due partiti potrebbero non essere sufficienti.
Al di là delle alchimie parlamentari, tuttavia, quello che preoccupa è che la sfida dei secessionisti catalani possa ridare fiato a quel nazionalismo centralista radicale e di poco profonde radici democratiche che, pur inglobato e in un certo senso «addomesticato» all’interno del Partido Popular, non si può dire sia del tutto scomparso.
Sono quindi tanti i motivi che dovrebbero indurre tutti, a Madrid e a Barcellona, ad ascoltare l’appello formulato ieri dalle pagine di El País da Josep Borrell, un politico socialista che si definisce «catalano, spagnolo ed europeo» e che dal 2004 al 2010 è stato Presidente del Parlamento Europeo: «Dato che una parte importante della società catalana è convinta che starebbe meglio fuori dallo Stato spagnolo, qualunque cosa succeda oggi, si dovrà ristabilire il dialogo, migliorare l’informazione, aumentare il rispetto reciproco e introdurre le necessarie riforme costituzionali, finanziarie e fiscali».
Possiamo solo sperare che non sia troppo tardi, e che sia possibile contrastare, con la necessaria intelligenza politica, gli effetti della combinazione del deplorevole immobilismo del governo centrale – che non ha saputo rendersi conto della serietà della «questione catalana» – con l’azzardata forzatura dei separatisti.