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 2015  settembre 28 Lunedì calendario

Giuliano Ferrara ricorda Pietro Ingrao: «Era il Papa buono della sinistra. Andrà difilato in paradiso. È venuto a mancare un pezzo della mia vita. Il secolo non è stato breve per noi, è stato lungo. Ingrao era un patriarca, ormai al di sopra anche dei residui della mischia ideologica del ’900. Polemico, certo. Ma anche un mostro di semplicità in senso positivo, di spontaneità e ingenuità»

Una morte che pesa ma è anche leggera, perché Pietro Ingrao era il «Papa buono della sinistra. Andrà difilato in paradiso».
Giuliano Ferrara, qual è stato il primo impatto a questa notizia?
«È venuto a mancare un pezzo della mia vita. Il secolo non è stato breve per noi, è stato lungo. Ingrao era un patriarca, ormai al di sopra anche dei residui della mischia ideologica del ’900. Polemico, certo. Ma anche un mostro di semplicità in senso positivo, di spontaneità e ingenuità. Una bella persona con tutta la sua corte di figli, amici e vecchi compagni. Aveva perso quella bellissima donna che era Laura Lombardo Radice, sua moglie: un tramonto lungo e emozionante».
La cosa che più la colpiva di Ingrao?
«Come tutti i veri demagoghi, non sapeva di esserlo. Aveva un sentimento della storia pieno di ansie paradisiache: il famoso paradiso in terra che il comunismo ha cercato di inverare con risultati più che dubbi. Ed era un poeta. Le sue liriche sulla Ciociaria, su Lenola, Fondi, sono ermetiche e piene di malinconia. Era un politico che guardava la luna, e questo piace anche a me che ero con Amendola per un comunismo italiano laico, realista. Colletti diceva che la demagogia in Ingrao fioriva come l’insalata nell’orto: le sue teorie dello Stato, delle masse, dei compiti storici della rivoluzione, crescevano e s’infiammavano anche disordinatamente...».
Ma la storia del comunismo non è stata pure sangue?
«La storia è sempre sanguinosa, lo è per comunisti, liberali, cristiani, cattolici e protestanti. Non lo è forse per le estreme minoranze estinte. Sangue e storia sono sinonimi. Ingrao ha visto l’infanzia nel primo dopoguerra, il fascismo, è stato fascista in un senso popolare e colto, partecipò ai Littoriali, poi costruttore della Repubblica, giornalista un po’ sentimentale. Ricordo un suo editoriale sull’Unità, su Nannarella. Sempre intriso di un sentimento poetico del futuro. Chi sono io per giudicare Pietro Ingrao? Si librava già da vivo in questo suo paradiso nel quale io non ho mai creduto. Lui ottimista, io pessimista antropologico».
In politica non ci si sporca le mani?
«Lui no. È stato capocorrente del Pci quando le correnti erano vietate. Uomo del dissenso, quindi del progresso. Tanto amato e che tanto ha amato. Un Papa buono della sinistra comunista come Papa Francesco, Papa Giovanni… Aveva ambizioni non banali. Della politica non era un professionista ma un grande dilettante».
Eppure ci furono responsabilità, colpe, in quegli anni…
«Le responsabilità nella storia del ‘900 le abbiamo tutti: illusioni sbagliate, stupidaggini dette, ideali abbracciati che si sono rivelati criminologici. Ce l’ha anche lui sul groppone tutto questo, eppure finirà nel paradiso. Ha dato ai figli i nomi dei colori del suo arcobaleno: Bruna, Chiara, Celeste… Era un uomo così, pieno di grazia».