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 2015  settembre 25 Venerdì calendario

È un piccolo coleottero con il capo verde metallizzato, il dorso color rame e ciuffetti di peli bianchi sui lati: non è però una simpatica coccinella, ma la terribile Popillia japonica, da poco sbarcata in Ticino dall’estremo Oriente, e con il suo appetito inesauribile rappresenta una serissima minaccia per tutte le piante del territorio nazionale. Per contrastarne la diffusione, la soluzione più efficace sarebbe cercare di sterminarla quando si trova ancora nel sottosuolo allo stadio di larva. «Benvenute allora le nostre care vecchie talpe, così tanto bistrattate e così tanto combattute: a male minore...»

Chi coltiva un giardino sa bene come bellezza ed armonia siano il risultato di tante piccole (e meno piccole...) battaglie quotidiane: quello del giardino è un equilibrio non facile, sempre fragile e precario, continuamente da difendere, da salvaguardare. Servono abilità multitasking, monitoraggi giorno per giorno, cure tempestive ed immediate. E soprattutto tanta, tantissima pazienza e tenacia: alcune battaglie si vincono, altre no, ma possono diventare un’occasione per ripensare e per cambiare.
Questa breve introduzione per attutire almeno un po’ la notizia che si va a dare. Ancora scioccati dalla famigerata piralide del bosso, sempre più diffusa ed aggressiva, i giardinieri devono ora fare i conti con una nuova calamità, che si prospetta, se possibile, ancora peggiore. Popillia japonica, questo è il suo nome: è un piccolo coleottero d’origine giapponese, di per sé anche grazioso, molto simile alla cetonia della rosa, ma di taglia ridotta, con il capo verde metallizzato, il dorso color rame e piccoli ciuffi di peli bianchi sui lati. La sua presenza è però devastante: la Popillia attacca in massa e le foglie vengono completamente divorate, non rimanendo altro che il lugubre scheletro delle nervature. Ma quel che è peggio è la sua totale polifagia: colpisce gli alberi da frutto, dalle viti ai meli, dai peschi ai ciliegi ed ai noccioli, così come quasi tutte le piante da orto e le colture da campo, mais e soia in testa. Si accanisce sugli alberi dei parchi e dei boschi, tigli e aceri, faggi, betulle ed ontani, e attacca anche rose e dalie. Praticamente tutto, persino l’invasivo ailanto: non certamente una grande consolazione, anzi magrissima...
La diffusione
Per ora non è ancora tragedia, se non nelle zone del Ticino, dove è stata per la prima volta avvistata nel luglio dello scorso anno, probabilmente arrivata con qualche carico di piante non controllato proveniente forse dall’Oriente (Malpensa?). E pensare che la Popillia è ben segnalata nelle direttive comunitarie che normano la materia fitosanitaria. Occorre da parte di tutti la massima attenzione: basta un niente perché si diffonda. Sarebbero soprattutto i vivaisti a dover effettuare tutti i controlli necessari, specialmente quelli che vendono tappeti erbosi: le giovani larve, bianche traslucide, vivono infatti per molti mesi nel sottosuolo, specialmente là dove è più umido, amando nutrirsi di radici e soprattutto quelle delle graminacee. Benvenute allora le nostre care vecchie talpe, così tanto bistrattate e così tanto combattute: a male minore... Verso giugno compaiono sulle piante gli adulti e iniziano, con gran frenesia, gli accoppiamenti, fino a settembre: le uova vengono deposte in piccole gallerie scavate nel terreno, dove le nuove larve rimangono per tutto l’inverno, risalendo verso la superficie con i caldi primaverili.
Gli strumenti di lotta
Gli strumenti di lotta sono ancora in via di definizione: negli Stati Uniti, dove la Popillia è arrivata da quasi un secolo, nonostante i massicci trattamenti chimici effettuati addirittura con mezzi aerei, l’infestazione continua a dilagare e ha anzi raggiunto il Canada. Prima dell’Italia, le uniche ad essere colpite in Europa erano state le isole Azzorre, negli Anni Settanta: anche lì nessun insetticida è mai riuscito a debellare il coleottero, ma per fortuna l’insularità ne aveva impedito la diffusione. In Ticino il monitoraggio è stato condotto da uno studio di Torino, Pegaso Servizi Agroambientali, utilizzando trappole a feromoni sessuali arrivate espressamente da oltreoceano. Gli esiti sono soddisfacenti ma non risolutivi: gli adulti vengono attirati anche da molto lontano, ma soltanto una parte rimane intrappolata, mentre tutti gli altri finiscono con lo stazionare lì intorno. Perciò non è sempre bene ricorrere alle trappole, meno che mai a scopo preventivo: si rischierebbe, a detta dei fitopatologi, addirittura di contribuire alla diffusione del coleottero. Allo stato attuale l’unica cosa da fare, oltre ad una sana eliminazione manuale, è avvisare immediatamente il Servizio Fitosanitario locale...