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 2015  settembre 25 Venerdì calendario

Giuseppe Mattia, Luigi, Giovanni, Giada, Maria Pia: sono i cinque gemelli (eterozigoti) che ha appena partorito Jessica, neomamma 24enne di Palermo. Un’ottima notizia, in un paese che tra il 2013 e il 2014 ha registrato 12mila nascite in meno e un saldo negativo tra nati e morti di oltre 100mila. Ma a chi osa chiederle se intenda fermarsi qui, Jessica risponde: «E certo, adesso basta»

Fanno segno di vittoria con le mani, gli occhi felici e confusi: «La casa sarà stracolma, eravamo in due, saremo sette», conta con le dita la mamma, Jessica Sciacca, 24 anni, la camicia da notte bianca, la faccia poco più colorita, i capelli lunghi e scuri sparsi sul cuscino del reparto di Ostetricia dell’ospedale Cervello di Palermo. Accanto a lei c’è il marito, Gianluca Cerrito, che ha un anno in più della moglie e sembra un ragazzino. «Prima ci avevano detto che erano tre, poi quattro, poi cinque….». Già, cinque. Cinque frugoli, che pesano ciascuno un chilo, tranne uno che non arriva a seicento grammi. Cinque fagotti che emettono i primi vagiti poco più in là, nel reparto di Terapia intensiva dello stesso ospedale. Tre maschi e due femmine: Giuseppe Mattia, Luigi, Giovanni, Giada e Maria Pia. Piccoli guerrieri, dicono i medici. Eterozigoti, tutti diversi, un bellissimo campionario di umanità.
Nomi scelti con cura in questa lunga gravidanza che i primi medici avevano considerato troppo rischiosa da portare avanti e che invece i medici del Cervello hanno preso in carico fino alla fine. Ce la faranno tutti, a raccontare ancora una volta il miracolo della vita. A dare, in un colpo solo, una bella botta di crescita al tasso di natalità nazionale ormai in profondo rosso: meno 12 mila bimbi tra 2014 e 2013, un saldo negativo tra culle e tombe che supera 100 mila. Anche al Sud, anche in questo Sud che un tempo brulicava di fiocchi rosa e azzurri appesi ai portoni delle case, di pance esibite con fierezza, di biberon e di pianti. Il clima che si respira qui, tra infermiere che fanno capolino, parenti in visita, e il gran sorriso di questi due genitori umili che adesso dovranno tirare avanti la famiglia con un banco di frutta e verdura nel quartiere popolare di Borgonuovo. «Abbiamo bisogno di tutto, di pannolini, di biberon, di latte, facciamo appello alla città perché ci aiuti», dicono dignitosi e semplici.
Un parto cesareo, alla trentesima settimana, i bimbi sono usciti uno dopo l’altro senza difficoltà. Ma Jessica è provata: «Sono una mamma giovane – dice – spero di farcela, li ho voluti tanto e adesso non vedo l’ora di vederli, di abbracciarli a uno a uno». Si commuove, la voce diventa sottile: «Questa settimana è stata la più stancante della mia vita». E sì. Dagli inizi di luglio è ricoverata e monitorata per ridurre i rischi di mortalità dei bambini, che in questi casi sfiorano il 30 per cento. Condizione da record: le statistiche parlano di un parto pentagemellare ogni 65 milioni di parti nel mondo. Una lotteria, ma di quelle difficili. In Italia l’ultimo precedente è del 2007 quando, ad Ancona, Sara Tarantini di Porto San Giorgio diede alla luce cinque figli: tre femmine e due maschi. Prima ancora nel 2005 un altro parto analogo c’era stato a Roma. Mentre a Palermo era già successo nel 1996, quando all’ospedale Buccheri-La Ferla nacquero cinque bambine da una coppia di disabili. E ora c’è Jessica con i suoi occhi forti e spauriti. Qualcuno osa chiederle: «E adesso si ferma?». «E certo, adesso basta», risponde.
Accanto c’è la madre di lui, Anna Maria Stancampiano, pronta ad assumere il ruolo di supernonna. «Le dicevano di rinunciare ai più deboli perché era troppo pericoloso portarli in grembo tutti – racconta – ma Jessica non se l’è sentita e noi della famiglia l’abbiamo sostenuta. Avevamo ragione, sono nati tutti. Certo, adesso non sarà facile portare avanti la famiglia, ma quando ci si vuole bene è tutto più facile». Già. Sembra semplice la vita vista da qui, dentro al reparto dove tutto inizia, in mezzo ad abbracci e pianti. «Una gioia immensa – aggiunge il padre – devo ringraziare molto i medici dell’ospedale Cervello per l’assistenza che ci hanno dato. Adesso mi dovrò occupare di far crescere i miei figli. Sorreggerò questa lotta per la vita con tutte le forze». E i suoi occhi da ragazzino diventano quelli di un titano.