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 2015  settembre 25 Venerdì calendario

Il sito americano Daily Beast stronca "ZeroZeroZero" di Roberto Saviano: «un casino» osannato della critica solo perché l’autore di "Gomorra" è ormai «una rockstar» internazionale. Ma l’accusa peggiore (ben argomentata) è quella di aver copiato numerose fonti senza mai preoccuparsi di citarle. La sua reazione? «Ha alzato le spalle, dicendo che le accuse di plagio derivano dalla mafia e dai media che la supportano, per distruggere la sua reputazione»

L’attacco è durissimo. Sul Daily Beast Michael Moynihan si occupa di ZeroZeroZero, l’ultimo lavoro di Roberto Saviano sul traffico di cocaina. Il libro, con cui Feltrinelli ha strappato l’autore alla Mondadori con un investimento notevole, in Italia ha venduto poco più di mezzo milione di copie ed è stato tradotto in una quindicina di Paesi. Le accuse che arrivano dalla nuova patria dello scrittore napoletano sono diverse e articolate. A volte personali.
Saviano – inizia Moynihan – dopo il successo planetario di Gomorra (10 milioni di copie) è costretto a vivere sotto protezione a causa delle minacce della malavita. Ma subito il giudizio è tranchant: “Chiuso nella sua gabbia dorata, Saviano è diventato una sorta di celebrità globale. Una rockstar”. Non meno affilato il commento sul libro: “ZeroZeroZero è un casino, una serie di storie che cercano coerenza narrativa, dove eventi globalmente insignificanti assumono grande rilevanza storica e ogni fatto assemblato è eccessivo. Siccome però si tratta del famoso giornalista investigativo Saviano, ZeroZeroZero è stato profusamente lodato dalla critica”.
L’accusa peggiore però è di aver copiato (la stessa che la Cassazione ha riconosciuto, nel giugno di quest’anno, in tre parti di Gomorra). “Quando non attribuisce le informazioni alle anonime fonti, Saviano prosegue senza citare fonte alcuna. Cercando di verificare alcune curiose affermazioni di ZeroZeroZero – spiega il collega americano – “ho scoperto molto materiale preso direttamente da altri giornalisti (non citati) e un linguaggio che differisce per lo più per via delle traduzioni”.
E qui l’articolo del Daily Beast (in italiano su Dagospia) è chirurgico perché elenca parecchi casi di “similitudini”. Ne riportiamo solo due: “Quando descrive la struttura interna della gang Los Zetas, parla di fonti americane e messicane. Se è vero, queste fonti hanno usato lo stesso linguaggio di Wikipedia”.
L’errore più grave, secondo Daily Beast, Saviano lo fa citando un narcotrafficante, Ángel Miguel: “La conversazione con lui è affascinante e terrificante, ma Saviano lo ha incontrato davvero? Allora perché molte parti della conversazione somigliano così tanto a una storia del 2005 scritta su Notimex di José Luis Castillejos?”.
Segue il pezzo firmato dal giornalista messicano: è praticamente uguale. Cosa risponde Saviano? “Ha alzato le spalle, dicendo che le accuse di plagio derivano dalla mafia e dai media che la supportano, per distruggere la sua reputazione”. Ma opporre alle critiche la delegittimazione è buttare la palla fuori dal campo, è non voler rispondere. E qui Saviano sbaglia, forse pagando il prezzo dell’isolamento.
Raccontato tutto questo, qual è il punto? È la forma del libro. In tutto l’articolo del Daily Beast appare chiaramente il fastidio per l’impossibilità di catalogare Saviano: giornalista o scrittore? I suoi libri sono romanzi o saggi? Se sono saggi perché non ci sono riferimenti, note, bibliografia? In una lunga intervista con il Fatto, parlando di Gomorra, il suo autore ha detto: “In libri così conta molto la capacità del lettore di lasciarsi accompagnare, di farsi prendere per mano e fidarsi. Vollmann scrive ‘Europa centrale’ senza citare fonti. O, se le cita, al massimo le cita nel racconto. Non c’è bibliografia: una cosa che in un certo tipo di lettori – moltissimo nei lettori americani – crea angoscia”. Eppure è proprio questo genere ibrido il segreto del successo di Saviano, secondo uno dei più importanti critici italiani, Alberto Asor Rosa. Che nella recente appendice a Scrittori e popolo scrive: “La mia tesi è che Gomorra, pur non perdendo nulla della carica informativa e di denuncia che caratterizza una raccolta di buoni articoli giornalistici, è al tempo stesso qualcosa di diverso – e di più. Saviano non si limita prima a documentarsi e poi a narrare: ricostruisce ‘quello che sa’ in una specie di visione d’inferno, in cui tutto è vero, ma, anche se non lo fosse, sarebbe come se lo fosse – anzi, in un certo senso, lo è ancora di più”. E conclude: “Raramente l’Italia è stata penetrata in questo modo, fin nelle sue viscere, fin nelle sue più oscure profondità, da un narratore”.