Corriere della Sera, 25 settembre 2015
Confessioni di Valeria Solarino. Filosofa e giocatrice di basket mancata, non si è pentita di aver deciso di fare l’attrice: «Non ho mai accettato un lavoro solo perché dovevo». «Giovanni, il mio compagno, è uno che non smette mai di lavorare. E questo per me, che sono pigra, è molto stimolante. Il mio cane Vasco è molto macho: non è tipo da vestitini quando piove. Dorme ai piedi del mio letto»
La ragazza con la valigia, se può, viaggia leggero. «Un trolley per cinque giorni basta, e lascio sempre un po’ di spazio, da riempire con le cose comprate sul posto». Diverso è quando si sposta per lavoro: abiti da sera e tacchi alti non ci stanno nel bagaglio a mano. «Ho paura di prendere l’aereo, ma amo troppo poter conoscere un Paese nuovo. I festival sono l’occasione perfetta. A fine luglio, nel giro di dieci giorni sono stata a Tavolara, poi ad Hanoi per il Moviemov_Italian Film Festival, di cui ero la madrina, quindi a Modica, da mio padre, e infine a Salina, dove mi hanno dato il Premio Troisi: pensare che da ragazzina volevo andare a Roma apposta per conoscerlo, e ancora non volevo fare l’attrice». L’accessorio che non dimentica mai a casa è la macchina fotografica. «In Vietnam ho fatto foto assurde: il motorino è il loro mezzo di loco-mozione più diffuso, il limite di velocità è 40 all’ora. Ci trasportano di tutto, galline, cesti colmi di ogni roba, ho visto addirittura due genitori con i figli tutti sullo stesso scooter, giuro!». Non barava. Infatti poco più tardi manderà gli scatti per email.
Una famiglia «normale»
Valeria Solarino è sincera. Sì sì, no no. Non dice una cosa per un’altra, non tergiversa. È onesta quando alla domanda sui figli replica: «No, per favore, magari te ne parlerò privatamente quando verrai a Roma, ma non mi va di rendere pubbliche cose soltanto mie». Ed è onesta quando si racconta, una risposta dopo l’altra, nella sua disarmante normalità. «Mamma Rosanna, insegnante di lettere. Papà Giovanni, ingegnere. Entrambi in pensione. Li sento tutti i giorni, separatamente: lei vive a Torino, lui a Modica. Non stanno più insieme da un pezzo. Mio fratello Gepi vive nel Monferrato. Ha due anni e mezzo più di me, lavora in un istituto che si occupa del reinserimento di persone condannate per reati legati a problemi psichici. Mi ha fatto diventare zia già due volte. Con lui, se non ci sentiamo, ci “messaggiamo”. Adesso si è dato una calmata, ma da piccolo era un matto, un terremoto vero: tutte le cicatrici che ho me le sono fatte con lui; quando eravamo bambini mica giocavo alle bambole, decideva lui ed erano sempre i cowboy con gli indiani, o il calcio o la lotta libera».
Ha un flat-coated retriever di undici anni, si chiama Vasco. «Siccome è il mio cane ha il divieto di invecchiare. Dorme ai piedi del letto, o dove gli pare: d’estate, si mette dove c’è fresco. Non è tipo da k-way quando piove o altri accessori, è molto macho. Gli do i croccantini, me lo ha suggerito il veterinario: meglio non abituarlo a una dieta diversa se non sono in grado di mantenerla». Ai fornelli, invece, se la cava e bene. «Mi piace cucinare per i miei amici, condividere la casa. Sono felice di andare a fare la spesa, sapendo che è per loro. Il mio piatto forte è la pasta fatta a mano, i dolci no, non sono capace».
Il compagno (che non fa il caffè)
Infine, ma non alla fine, c’è Giovanni, il compagno che di cognome fa Veronesi e di professione il regista. Stanno insieme da dodici anni. «Chi di noi porta il caffè a letto? Lasciamo stare... L’unica volta che gliel’ho chiesto si è presentato dopo dieci minuti con la caffettiera smontata: voleva sapere fino a che livello si mette l’acqua... Farebbe danni anche con la macchinetta elettrica». Di lui ama quella cosa che non saprebbe spiegare con un sostantivo. «È la capacità di riconoscersi, riservata a chi sta insieme da anni: mi basta una battuta, un gesto, uno sguardo in mezzo alla folla». È una forma di intimità, di confidenza perfetta. Ma è anche stima. «Giovanni è uno che non smette mai di lavorare, pure quando non sta scrivendo un film ha sempre qualcosa che gli passa per la testa, un libro, un’idea, un pensiero da buttare giù. E questo per me, che sono proprio pigra, è molto stimolante. Se è vero che prendo e parto senza problemi da un giorno all’altro, quando poi torno a Roma non mi muovo di casa, o quasi». Si sposeranno? «Mah, non è che sia contraria... Lui mi ha chiesto di farlo prima che diventi troppo anziano da raggiungere l’altare sulle sue gambe...».
La convivenza forzata
Per fare l’attrice ha abbandonato il basket e l’università. «Di non essermi laureata in Filosofia mi dispiace un po’, mi mancavano pochi esami». Ha la fortuna di aver scelto ogni progetto professionale. «Non sono costretta a fare quello che non mi piace, non ho mai accettato una cosa perché dovevo. Vorrei continuare a crescere, arrivare all’età dei bravissimi protagonisti dell’ Amour di Michael Haneke che ancora recito».
Amici, nel mondo del cinema, non ne ha. «È molto difficile replicare il clima che si crea in un set. Mi viene in mente Mille volte addio, girato sull’isola dell’Asinara in condizioni se vuoi estreme. In quella convivenza forzata si è creato fra tutti un rapporto molto forte che dopo, però, non ha più avuto lo stesso significato».
Il tennis antistress
Se è giù di corda, prenota un campo al circolo. «Il tennis è il mio yoga. Richiede una tale concentrazione che devi per forza svuotare la mente, fare pulizia dei pensieri. Non devi essere un campione per divertirti. Attendo di completare il mio Grande Slam come spettatrice: mi mancano gli Australian Open e gli U.S. Open. Purtroppo neanche quest’anno ci sono riuscita».
Progetti: «A ottobre sarò in teatro a Vicenza con Palamede, l’eroe cancellato di Alessandro Baricco e nel 2016 farò Una giornata particolare all’Ambra Jovinelli di Roma con Giulio Scarpati». Ama la parte glamour del suo lavoro. «Mi piace andare a scegliere abiti, scarpe e borse per le serate, mi annoiano trucco e acconciatura. In genere il grande vestito da tappeto rosso gli stilisti te lo prestano, ed è giusto così: sono cose talmente preziose che poi non le riutilizzeresti nemmeno. Però una volta Dolce & Gabbana e Valentino mi hanno fatto tenere dei capi, perché secondo loro mi stavano particolarmente bene». Contenta? «Felicissima!».