Corriere della Sera, 25 settembre 2015
La Grande Crisi ha messo nel mirino i cinquantenni, giovani per la pensione e obsoleti per le aziende. «Sono diventati il target privilegiato delle ristrutturazioni lavorative», sintetizza il sociologo Francesco Marcaletti. Gli input del mercato sono precisi: una volta il ciclo di vita di un prodotto era di 15 anni, oggi siamo a 3. Le conseguenze sulle competenze sono devastanti, si diventa superati alla velocità della luce
Il cinquantenne, magari separato, che si rivolge alla Caritas è diventata un’istantanea della crisi. Ha ragione chi sostiene che si tratta di casi isolati e che è difficile ritrarre tutti gli ex-dirigenti, quadri o anche operai come dei questuanti abituali. Quale sia la verità è vero però che la Grande Crisi ha messo nel mirino proprio loro, i cinquantenni, «diventati il target privilegiato delle ristrutturazioni aziendali» come sintetizza il sociologo Francesco Marcaletti. In questi anni le imprese hanno cambiato di molto il modo di operare al proprio interno e nei rapporti con l’esterno. Gli input del mercato sono precisi: una volta il ciclo di vita di un prodotto era di 15 anni, oggi siamo a 3. Le conseguenze sulle competenze sono devastanti, si diventa obsoleti alla velocità della luce. È vero che le aziende italiane sono accusate di non aver programmato l’evoluzione delle professionalità e di aver dato poco spazio alla mobilità interna, certo è che le retribuzioni sono concentrate sulla parte fissa per cui salendo l’età aumenta il costo e rende il taglio del 50enne appetibile. È pure altrettanto vero che i dati Istat segnalano come per i lavoratori maturi cresca sia l’occupazione sia la disoccupazione ma si tratta di un effetto statistico legato all’invecchiamento della forza lavoro. Infine vale la pena sottolineare che il problema dei lavoratori troppo giovani per andare in pensione e troppo vecchi per trovare un nuovo lavoro è totalmente maschile. Sono quelle territoriali caso mai le differenze più larghe perché i 50enni del Sud sono disoccupati e basta.
Se osserviamo i soli operai sono proprio i 50enni il baricentro dei cassaintegrati e i sindacati per tutelarli hanno fatto di tutto e tirato pur di stiracchiare un po’ di Cig in più. Risultato non ci sono solo i casi pluriennali di Alitalia e Telecom ma anche realtà più piccole. «Alla ex Ocean o alla ex Ibm di Vimercate – racconta Roberto Benaglia, della segreteria della Cisl Lombardia – abbiamo tutelato il reddito ma in qualche maniera abbiamo creato una trappola». Oggi questo compromesso va a finire, non ci potrà essere cassa integrazione superiore a due anni e dopo il Jobs act tutto si sposta sulla ricollocazione incentivata. «Non è facile. È complicato riciclare l’operaio tessile della Val Seriana a 50 anni, mentre lo specializzato sì. Purtroppo però specie sul territorio il mercato del lavoro si basa nella buona sostanza ancora sulle relazioni, per cui se ti serve un elettricista non prendi quello più bravo rimasto disoccupato ma l’amico dell’amico».
Chi non riesce a mettere in moto nessun conoscente finisce per scrivere curriculum, poi si deprime, passa la giornata sul divano e finisce nei centri Caritas. In Danimarca c’è la mitica flexsecurity, da noi non abbiamo i soldi e soprattutto siamo più bravi a organizzare convegni e cortei che politiche attive. E questo vale per i centri per l’impiego ma anche per la rappresentanza. Arriverà il giorno in cui sarà semplice ricollocare piuttosto che contrattare gli ammortizzatori sociali? Per ora «i periodi di Cig sono vissuti all’insegna della strenua difesa del posto di lavoro a suo tempo ottenuto e considerato un bene proprio anziché cercare nuovi sbocchi» ha scritto Maurizio Ambrosini, docente dell’università di Milano.
Ovviamente non tutti i 50enni hanno subito la stessa usura, dipende dal lavoro su tre turni o meno, dallo stare in piedi 8 ore oppure no. E in futuro queste differenze conteranno di più. Una scena che ho visto di recente nello stabilimento-modello Whirlpool di Cassinetta mi è rimasta impressa: alla linea che consente di lavorare a fermo sul micro-onde ci sono operai dai 40 in su, alla linea che è sempre in movimento solo giovani, maschi e femmine, under 30. La domanda diventa: arriverà mai da noi un’esperienza come quella della tedesca Bmw che ha progettato una linea di montaggio per over 50? Per i colletti bianchi, manager/quadri o impiegati più che l’usura il nemico si chiama obsolescenza. Come mostrato persino dai film popolari con Claudio Bisio e Paola Cortellesi il 50enne spesso va sotto i ferri del tagliatore di teste, ne esce con un po’ di soldi ma con il morale fracassato. In fondo non capisce neppure bene cosa gli sia capitato e si preoccupa più di come dirlo a figlie e suoceri che di impostare la riscossa. Un ordine di grandezza lo fornisce Manageritalia: «Tra i soli dirigenti licenziati gli over 50 sono oltre il 60% e se aggiungiamo quelli che sono costretti a trovare un accordo la cifra sale di tanto».
«Il motivo del ricambio non sta tanto nell’avanzata della tecnologia ma nel mutamento dei modelli organizzativi – dice Claudio Soldà, capo ufficio studi della Adecco —. I percorsi di mobilità nella aziende medio-grandi sono lenti e nessuno pianifica le carriere. È chiaro che per un 50enne tornare in aula dopo 20 anni non è mai facile ma l’unico antidoto è proprio la formazione continua». Nella riorganizzazione taglia-maturi non tutto avviene in maniera razionale e si raccontano molti episodi al limite. Il venditore di una multinazionale del lusso che viene premiato come eccellenza di rendimento e poi tagliato otto mesi dopo. Oppure il dirigente messo alla porta freddamente e reingaggiato come consulente meno di un anno dopo. «Avendo in qualche forma goduto di lavoro stabile se lo perdono faticano di più di altri a trovarlo» ha scritto Ambrosini «si scoprono a disagio con azioni anche semplici come la redazione del curriculum vitae, la consultazione di banche dati, la risposta a inserzioni. Si trovano a mal partito nel mondo della flessibilità». E sono proprio i fatalisti quelli che poi rimangono più a lungo disoccupati (fino a tre anni). Una valvola di sfogo è l’auto-impiego, il lavoro autonomo. Se si analizzano le nuove partite Iva gli over 50 sono il 18% di chi ha l’ha aperta a luglio 2015. Non essendo più le costruzioni il settore rifugio i settori che spiccano sono commercio e autoriparazione, agricoltura e pesca. Tanto da far dire ai ricercatori di Adapt che «spesso sono le passioni latenti a pilotare la scelta della seconda età lavorativa».
Ma la ripresa cambierà le carte? Sarà inclusiva o avverrà sotto il segno dell’espulsione? La legge Fornero ha allungato l’età lavorativa, ha tagliato uscite intermedie e scivoli e il Jobs Act riforma le Cig. «Il rischio è che i 50enni diventino un problema e mai una soluzione e nelle organizzazioni di lavoro si formi una fascia tra i 45 e 55 anni bloccata nel percorso, a basse motivazioni. Forse per cambiare bisognerà prefissare l’uscita come fanno i giapponesi» dice Marcaletti. Oppure liberare le retribuzioni per remunerare il valore apportato più che la parte fissa.