Il Messaggero, 25 settembre 2015
Oltre 700 morti e 800 feriti: questo il bilancio dell’ennesima strage avvenuta durante il rituale pellegrinaggio islamico alla Mecca, il più pesante degli ultimi 25 anni (nel 1990 le vittime furono ben 1.426). E appena due settimane fa, sempre alla Mecca, erano già morte 87 persone, schiacciate da una gru gigante durante un temporale accanto alla Grande Moschea. Per entrambi gli eventi le responsabilità sono ancora da chiarire, ma fra Teheran e Riad già volano gli stracci
Buttati a terra, calpestati, schiacciati, soffocati. Con la folla che diventa una massa che non sa controllarsi più, in preda al panico, che travolge e uccide. «Sono 717 i morti» è il bilancio fatto dalle autorità in serata, che hanno specificato che potrebbero essere anche di più. Ci sono ottocento feriti, molti dei quali in gravi condizioni.
LA RICOSTRUZIONE
Ieri era il primo giorno dello Hajj (significa “pellegrinaggio”) alla Mecca. Sono milioni i musulmani che raggiungono la città santa dell’Islam, in Arabia Saudita, in occasione di quella che è la Festa del Sacrificio, ieri al primo giorno. La calca è una situazione costante e drammatica, e il pellegrinaggio dei musulmani alla Mecca (è un dovere religioso farlo almeno una volta nella vita) viene da sempre funestato da lutti. Eppure, nell’ultimo decennio, con milioni di dollari spesi in misure di sicurezza, si era fermato l’elenco delle stragi di centinaia di persone. Ma il bilancio della tragedia di ieri a Mina, cittadina a cinque chilometri dalla città santa, è il più pesante degli ultimi 25 anni.
La ricostruzione di quanto è successo non è chiara, e ha anche uno strascico diplomatico con Teheran (circa novanta vittime erano iraniane) che accusa l’Arabia Saudita di inefficienza nelle misure di sicurezza. Migliaia di pellegrini, ieri mattina, stavano partecipando al rito della “lapidazione del diavolo”, lanciando pietre contro tre muri di pietra. Mina è considerato uno dei passaggi più pericolosi del pellegrinaggio. Nella valle ogni anno viene allestita una tendopoli per ospitare i fedeli, in grado di accoglierne 160mila. Ed è proprio tra le strade che collegano i diversi gruppi di tende che si è scatenata la tragedia. Come una corsa impazzita che ha tutto travolto. Testimoni hanno detto di aver visto «cataste di cadaveri», con i corpi degli uomini avvolti dall’Irham, una stola bianca che si usa nel pellegrinaggio, e che è anche il sudario dei morti. Mansur al Turki, un portavoce del governo saudita, ha detto che le possibili cause potrebbero essere state – oltre al caldo, e alla fatica – il sovraffollamento e il mancato rispetto, da parte di una massa di pellegrini, dei sensi unici pedonali. «Purtroppo, questi incidenti avvengono in un momento».
LA GRU CROLLATA
Parole generiche, perché ancora non si è ricostruita con attendibilità la dinamica dei fatti. Si sarebbero scontrate due masse di fedeli sullo stesso passaggio nel piccolo centro che per un paio di giorni diventa una grande città, con due milioni di pellegrini che transitano qui. È stata aperta un’inchiesta, così come un’inchiesta è stata aperta, ed è ancora in corso, per un’altra tragedia di due settimane fa alla Mecca: 87 morti accanto alla Grande Moschea, schiacciati da una gru gigante caduta a terra per un temporale. «Cattiva gestione dell’evento ed errori nel campo della sicurezza» accusa ora Said Ohadi, responsabile dell’agenzia che gestisce i pellegrinaggi dall’Iran. Khaled al Falih, ministro saudita della Sanità, sostiene invece che la colpa è dei fedeli indisciplinati, che non hanno seguito le istruzioni della sicurezza. I due governi non si amano, e la tragedia diventa il palcoscenico di rancori irrisolti. Ma anche attivisti locali accusano il governo saudita di non aver fatto abbastanza.
Elicotteri e telecamere controllano l’afflusso dei pellegrini nelle zone più affollate. «Le autorità non sono da biasimare» si difende al Turki. Era da 25 anni che il bilancio delle vittime non era così pesante. Nel 1990 morirono insieme in 1.426, schiacciati nella calca di un tunnel pedonale. Ora questa tragedia. E nelle stesse ore due kamikaze si sono fatti esplodere in una moschea sciita di Sana’a, capitale dello Yemen. Venticinque morti e una rivendicazione, non si sa quanto attendibile, firmata da un gruppo fiancheggiatore dell’Isis.