La Stampa, 24 settembre 2015
Kuriki, ancora tu. L’alpinista giapponese torna sull’Everest per la quinta volta, totalmente da solo. Il versante tibetano è chiuso dai cinesi, dal Nepal dopo il terremoto non sale nessuno. Tranne lui, che nel 2012, sempre d’autunno, perse nove dita per il freddo
Nell’autunno dell’Everest dominano il bianco, l’azzurro delle trasparenze glaciali, il grigio della piramide rocciosa. Il rosso, l’arancio e il giallo che risalgono fra i crepacci sono di Nobukazu Kuriki, 33 anni, giapponese. È l’unico alpinista sulla montagna più alta del Pianeta.
Ha superato l’Ice Fall grazie all’aiuto di sei Sherpa. Il fotografo e la piccola troupe televisiva che lo stanno seguendo per poter immortalare tanta solitudine lo hanno già lasciato. Kuriki non incontrerà più nessuno e fra due giorni potrebbe essere sul filo della «zona della morte», gli 8.000 metri del Colle Sud, sella che unisce due giganti, Everest e Lhotse. Di lì comincerà a salire nella neve e fra le rocce della cresta di Sud-Est. Solo sull’Everest, come un pioniere, un esploratore d’altri tempi. Un paradosso: è partito dal campo base sulle morene dell’Ice Fall, che di solito ospitano un villaggio di tende con mille persone. Solo sull’Ottomila più scalato, quasi un palcoscenico ormai.
Nessun altro alpinista, né gli organizzatori di spedizioni commerciali, hanno chiesto un permesso alle autorità nepalesi. E dal Tibet ogni salita è bandita: il governo cinese ha deciso il divieto per ragioni politiche, l’anniversario dell’autonomia tibetana. Il sogno inseguito da anni da Nobukazu ha così un motivo in più per diventare indimenticabile.
«Voglio dimostrare che il Nepal non è pericoloso», ha detto quando ad agosto il ministro Govinda Bahadur Karki gli ha concesso il permesso, il primo e l’unico dopo il devastante terremoto di aprile. L’autunno non è la stagione più favorevole per l’Everest: dopo il monsone, nevicate, freddo, giornate più corte. In più c’è il ricordo dell’orrore del sisma ad allontanare ogni vanità di conquista: morirono in 19 in quel villaggio di tende dove arrivavano proiettili di neve di una gigantesca valanga. Alcuni sono stati inghiottiti dai crepacci mentre scendevano al campo base.
Kuriki è alla quinta sfida sull’Everest: due volte ha provato dal Tibet e due dal Nepal, senza successo. L’ultimo tentativo era l’autunno del 2012. Il giapponese era sulla cresta opposta a quella che sta tentando, fu intrappolato dal maltempo, ghermito dal freddo. Tornò con le mani congelate e i medici furono costretti a amputargli nove dita. Quando ha chiesto il permesso di tornare all’Everest al governo di Katmandu non osava neppure sperare di essere l’unico. Oggi sta salendo verso il campo 3, a 7.400 metri.
«Voglio capire – scrive nel blog – quanta neve è caduta nei giorni scorsi». Affronterà nella sua tuta rossa la gigantesca scodella ribattezzata Valle del Silenzio. Toponimo che non concede nulla alla poesia, anche se sembra evocarla: è un luogo dove il vento non s’infila, non fa turbini, non crea voci.
Anche il soffio più impetuoso viene deviato sul ghiacciaio inclinato verso la seraccata o verso il pendio del Colle Sud: la spalla affilata di quell’artiglio di montagna che è il Nuptse è bastione a difesa della scodella.
Le immagini che rimanda il giapponese, attrezzato all’inverosimile dal punto di vista della comunicazione, non offrono squarci lasciati dal terremoto. L’onda che ha sollevato quei ghiacci di oltre un metro e ha provocato la gigantesca valanga si è riaddormentata nel suo letto. E le diversità dell’Ice Fall sono dovute alla vita del ghiacciaio, a crepacci e seraccate che si aprono e chiudono.
La voce di Kuriki è registrata nella comunicazione di qualche minuto via radio dalla tenda a cupola del campo 2. Sta bene, si sente in forma, ma l’incognita, oltre al freddo, è la neve. La spalla oltre gli 8.000 potrebbe essere impraticabile, soprattutto per un uomo solo. Lui si filma e si fotografa mentre scala, parla alla radio, scrive sul blog.
Il messaggio più recente comincia con il saluto buddista: «Namastè a tutti. Ho scambiato messaggi con quelli del Pumori (piramide candida della valle dell’Everest, ndr). Domani o dopo domani salgo a campo 3. Approfitto di questo splendore di tempo e di natura per lavorare sodo».