Corriere della Sera, 24 settembre 2015
Tutte le volte che Calderoli ha dato i numeri: dalle fantomatiche 375 mila leggi abrogate alle - altrettanto fantomatiche - 87 mila poltrone tagliate, fino agli attuali 85 milioni di emendamenti. La strana passione aritmetica di un dentista con la vocazione del macellaio
Adora i numeri. Ma non gli bastano le decine né le centinaia. Si va dalle migliaia in su. Per meno, Roberto Calderoli non prende neppure la penna in mano.
Era gennaio del 2009 quando l’ex ministro leghista della Semplificazione annunciò il taglio di «29 mila leggi». Liquidando con una smorfia il dettaglio che la sua rottamazione aveva inghiottito alcuni provvedimenti francamente trascurabili, come la legge con cui era stata abolita la pena di morte o quella che aveva istituito la Corte dei conti.
«Se su 29 mila leggi tagliate ce ne vengono segnalate solo quattro, significa che abbiamo fatto un lavoro della Madonna». Pochi mesi più tardi spiegava che «entro il 2009 lo Stato sarà normato da soli 13.800 atti: ne abbiamo 440 mila ma 36 mila sono stati già abrogati e altri 40 mila lo saranno entro l’estate».
Prometteva, il dentista Calderoli specializzato in chirurgia maxillo-facciale, che non avrebbe usato il bisturi, bensì il machete. «Calderoli, missione compiuta: via 39 mila leggi», titolava l’ Ansa il 19 novembre 2009. Per lui, però, non era ancora abbastanza. «Mi accorsi subito che non c’era bisogno di un chirurgo, ma di un macellaio. Abbiamo abrogato 375 mila leggi», rivelò nel marzo 2010.
Qualcuno osò ricordare che quel numero era di due volte e mezzo superiore alla stima fatta da Sabino Cassese, secondo il quale le leggi vigenti in Italia erano 150 mila. Sempre tantissime, se paragonate alla Francia o alla Germania, dove non arrivano a diecimila. Ma lui, impassibile: «Quando mi hanno detto di occuparmi delle semplificazioni nessuno sapeva nemmeno quante leggi ci ne fossero in Italia. Sono arrivato a contarne 453 mila, in un Paese nel quale abbiamo 200 mila avvocati. In un anno le abbiamo portate a 10 mila. Ma voglio ridurle ancora. Mi sono prefisso di arrivare a cinquemila, un record europeo». E poi: «Il taglio ci ha fatto risparmiare 800 milioni». Cifra, naturalmente, da cui sottrarre il costo del falò con cui incendiò tutta quella carta pochi giorni dopo in una caserma dei pompieri.
Non che ce l’avesse soltanto con le leggi. Voleva spazzare via 34 mila «enti impropri», che aveva definito addirittura «inutili» in una sua proposta di legge. E poi le poltrone. Cominciò in sordina, vantando l’abolizione di «almeno 480 poltrone, con un risparmio di 71 milioni». Poi, in un crescendo rossiniano, regalò agli italiani il sogno di «una riduzione di quasi 50 mila poltrone». Anzi: «Se all’inizio di questa legislatura gli amministratori di Regioni, Province e Comuni erano 140 mila, passeremo a 53 mila, con una riduzione di 87 mila. Un taglio superiore al 60 per cento». Bum!
Era il 13 agosto del 2011, il governo del quale faceva parte era ormai agli sgoccioli. Tre mesi più tardi sarebbe arrivato Mario Monti, che avrebbe trovato la stessa giungla normativa di prima. Come pure le stesse 140 mila poltrone. E i medesimi 34 mila enti impropri. Tutti vivi e vegeti.
Nessuno poteva immaginare che dopo aver tentato invano il campionato europeo dei tagli Roberto Calderoli meditasse la conquista di un primato esattamente contrario: quello mondiale degli emendamenti presentati a una sola legge. Ottantacinque milioni. Peccato soltanto che il record non finirà in nessun Guinness. Più probabilmente, nello show di Maurizio Crozza.