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 2015  settembre 23 Mercoledì calendario

Banca popolare di Vicenza sotto inchiesta: indagati in sei, tra cui il presidente Zonin e l’ex ad Sorato, per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. Perquisizioni e sequestri della Guardia di Finanza a Vicenza, Milano, Roma e Palermo. L’accusa è di non aver inserito tra le sofferenze del bilancio crediti deteriorati per quasi un miliardo e di aver concesso finanziamenti in cambio dell’acquisto di azioni della banca. Il presidente Zonin si è già dimesso dal comitato esecutivo dell’Abi

Un’altra inchiesta scuote il mondo bancario. Nel mirino è finita la Banca popolare di Vicenza, una di quelle banche legate al territorio ma che poi, secondo gli inquirenti, hanno usato i privilegi societari garantiti dalla legge per aggirare le regole patrimoniali e assicurare posizioni apicali al management. La storia si ripete dunque – ed è simile ad altre vicende già viste, tra cui in particolare quella di Veneto banca.
I reati individuati sono, al momento, l’aggiotaggio e l’ostacolo alla vigilanza, contestati prima di tutto al presidente Giovanni Zonin e all’ex dg Samuele Sorato. Ieri gli uomini del Nucleo valutario della Guardia di finanza hanno effettuato una serie di perquisizioni e sequestri negli uffici bancari di Vicenza, Milano, Roma e nella sede di Palermo di Banca nuova, dove lavora l’ex vicedirettore generale della banca vicentina, Paolo Marin.
Risultano indagate 6 persone: oltre al presidente Zonin e all’ex ad e direttore generale Samuele Sorato, anche Giuseppe Zigliotto e Giovanna Maria Dossena, membri del cda, Andrea Piazzetta, ex vicedirettore generale della divisione finanza e Emanuele Giustini, ex vicedirettore generale responsabile della divisione mercati. Per loro le perquisizioni sono state effettuate anche nelle case private. Le persone perquisite in tutto sono 21.
La storia della Popolare di Vicenza è fatta, secondo il procuratore Luigi Salvadori, di crediti deteriorati nascosti e mai inseriti nella voce delle sofferenze, al fine di mantenere forzatamente alto il valore delle azioni e quindi continuare a distribuire dividendi e mantenere saldamente al loro posto il management, assicurando loro premi e bonus legati al profitto. I crediti deteriorati sfiorano il miliardo, se andiamo indietro fino al 2012-2014.
Inoltre, fatto ancora più grave, i manager indagati avrebbero concesso finanziamenti a persone che poi acquisivano le azioni della stessa banca (e che peraltro potrebbero aver svolto funzioni di “portage”, coprendo i reali acquirenti). Il che vuol dire, in sostanza, che i soldi dei correntisti sarebbero serviti a finanziare coloro che detenevano il controllo e il possesso della banca. Si parla anche di acquisti eseguiti nel Lussemburgo, con fondi finanziati per acquistare quote di Banca finance, di proprietà della capogruppo. Il pm parla dunque di «ripetuta concessione ed erogazione a favore di terzi soggetti, in difetto dei presupposti e in violazione della procedura deliberativa sul mercato secondario di azioni Bpv per un controvalore non inferiore a 223 milioni». O anche «...finalizzate alla sottoscrizione di azioni in occasione dell’aumento di capitale degli anni 2013 e 2014, per un controvalore non inferiore a 136 e 146 milioni». Il tutto per rimanere al di sopra delle soglie patrimoniali imposte dalla Vigilanza.
L’aggiotaggio viene contestato perché, pur non essendo una società quotata, la banca vicentina ha dato una falsa rappresentazione del bilancio; l’ostacolo alla vigilanza perché non sono stati forniti i documenti reali alle due istituzioni addette ai controlli, Consob e Banca d’Italia. Gli indagati «esponevano fatti non rispondenti al vero sulla situazione patrimoniale», si legge. Anche se, evidentemente, le azioni di verifica di questi due organi non sarebbero stati così efficaci, se per anni la situazione della Banca popolare di Vicenza è proseguita senza contestazioni: anche questo emergerebbe dalle prime carte dell’inchiesta.
I problemi sono emersi con i controlli della Bce partiti nel 2012, oltre che dalle denunce dell’Adusbef. La Bce ha chiesto che venisse fatto un accantonamento per un miliardo, pari appunto ai crediti deteriorati – cosa che è stata fatta con l’ultima semestrale, a seguito della quale è stato deliberato un aumento di capitale che ha fortemente abbassato il valore del titolo. Quindi, di fronte ad un valore così deteriorato, i piccoli azionisti rappresentati dall’Adusbef hanno cominciato a muoversi, anche perché stava emergendo un comportamento fortemente lesivo dei loro interessi: la banca concedeva finanziamenti solo se il richiedente comprava anche azioni della banca, oppure tentava di impedire la vendita delle azioni con la minaccia di bloccare i finanziamenti. Ecco che quindi i nodi vengono al pettine: la procura e il Nucleo valutario cominciano ad indagare. I reati contestati per ora sono aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, ma non si esclude che si possa andare oltre – ad esempio al falso in bilancio e all’acquisizione di azioni in conflitto di interesse. Ora si indagherà probabilmente anche su chi ha ricevuto i crediti inesigibili.
Intanto giorni fa il presidente Zonin si è già dimesso dai vertici dell’Abi, di cui faceva parte come membro del comitato esecutivo.