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 2015  settembre 23 Mercoledì calendario

Il "What-the-fuck moment" della politica monetaria mondiale: la Federal Reserve americana tiene i tassi d’interesse a zero dal 2009, e non ha il coraggio di alzarli per timore di spaventare i mercati. Così, però, anziché guidare i mercati, la Fed dimostra di esserne troppo influenzata, perdendo il suo fondamentale ruolo di motore immobile della politica monetaria. Per superare lo stallo i banchieri centrali dovranno elaborare soluzioni particolarmente creative: tra le più drastiche già al vaglio, l’abolizione del contante e la tassazione della moneta fisica

L’economista Tony Yates lo definisce “a WTF moment”, la sigla sta per What the fuck?!. I banchieri centrali sono meno volgari, ma non meno espliciti. Perché le principali banche centrali del mondo – la Bce, la Federal Reserve, la Bank of China, la Bank of England, la Bank of Japan – hanno decisamente perso il controllo della situazione. Il giornalista Neil Irwin, in un libro recente, celebrava i banchieri centrali come “gli alchimisti”, un po’ maghi, un po’ scienziati. La magia è finita giovedì scorso quando la Federal Reserve americana ha deciso di non alzare i tassi di interesse, che sono a zero dal 2009. Certo, i segnali che arrivano dall’economia americana sono misti (la disoccupazione è bassa, al 5,1%, ma l’inflazione non sta salendo, è allo 0,3%). Ma il messaggio che è arrivato è il seguente: la Federal Reserve non alza i tassi perché ha paura della reazione dei mercati. Ma i mercati si aspettavano la stretta, l’avevano già scontata da mesi. E questa non è arrivata. Così, in un ribaltamento di ruoli, la Fed ha smesso di guidare i mercati, di garantire stabilità con un processo decisionale lineare e prevedibile, per diventare essa stessa fonte di incertezza, elemento di instabilità. Perché se i mercati reagiscono alla Fed ma la Fed decide guardando ai mercati, si perde il motore immobile necessario alla politica monetaria, ed è il caos.
Il problema – lo ha spiegato il direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi in un convegno a Istanbul – è che è diventato molto difficile distinguere tra i fattori strutturali e quelli transitori che determinano l’attuale situazione economica di quasi stagnazione, bassa crescita (almeno in Europa) e bassa inflazione. I tassi a zero delle Banche centrali, il crollo degli investimenti, l’eccesso di risparmio in alcune parti del mondo, la crescita bassa sono situazioni temporanee o la nuova normalità? Gli economisti che, come Larry Summers, guardano al declino del tasso di interesse reale sono pessimisti. Spiega Salvatore Rossi che il tasso di interesse reale è “il prezzo che rende uguali l’offerta di risparmio e la domanda di fondi per finanziare investimenti”. Come si vede nel grafico in questa pagina, da anni sta crollando. Perché la popolazione mondiale cresce meno di un tempo, perché il progresso scientifico ha già portato tutti gli aumenti di produttività che poteva portare, perché c’è un eccesso di risparmio in Cina o perché nell’economia delle app ci vogliono meno risorse per gli investimenti di quando si costruivano acciaierie. Tante spiegazioni possibili, nessuno sa se ce n’è una giusta.
Ma il risultato è che negli anni Novanta il tasso di interesse reale del mondo era in media il 4% e con un obiettivo di inflazione del 2%, le Banche centrali avevano un margine di manovra di sei punti, alla vigilia della crisi il tasso d’interesse reale era già sceso al 2. Ora le Banche centrali principali hanno azzerato il costo del denaro.
Secondo quanto ha riferito Peter Praet del board della Bce, il 36% dei titoli di Stato denominati in euro ha un tasso di interesse reale negativo (cioè tolta l’inflazione al rendimento, di fatto, i creditori pagano per prestare soldi ai governi). È un mondo assurdo: il ruolo della politica monetaria, spiega Praet, “è di offrire una stabilizzazione anticiclica” nelle fasi di transizione. Raffreddare l’economia quando il rischio è che la crescita faccia esplodere l’inflazione e stimolarla quando i prezzi stagnanti spingono i consumatori a rinviare gli acquisti, le imprese a tagliare gli investimenti e i governi vengono schiacciati dal debito. Ma che fare ora? Da giorni si discute dell’analisi di Andrew Haldane, il brillante capo economista della Bank of England.
Haldane è tra i primi banchieri centrali a prendere atto che la vecchia normalità potrebbe non tornare. La linea della Bce, che la politica monetaria crea il contesto favorevole e i governi approvano riforme che portano crescita, è ormai smentita dalla cronaca.
Il Quantitative easing, dice Haldane, non basta: la Bce in un anno e mezzo comprerà oltre 1.300 miliardi in titoli (in prevalenza di Stato), le grandi Banche centrali finora ne hanno acquistati per 5.000 miliardi. E non è successo molto dal lato dell’inflazione. E quindi? Haldane suggerisce alcune politiche non convenzionali come alternativa: alzare l’inflazione obiettivo, per esempio dal 2 al 4%, ma questo toglierebbe credibilità e non ha effetti concreti (è un tentativo di ipnotizzare i mercati). Aumentare ancora il Qe, ma comprare titoli ha due controindicazioni: rischia di creare forti distorsioni, perché fa sembrare sicuri investimenti rischiosi, e può trasformarsi in un finanziamento mascherato della spesa pubblica dei governi (tenere basso il costo dei bond pubblici, a lungo andare, significa dare miliardi da spendere). E questo è un tabù per la politica monetaria, perché mina il dogma dell’indipendenza dei banchieri centrali dai governi. Haldane arriva a immaginare soluzioni drastiche tipo abolire il contante, ideando un tasso di cambio tra moneta elettronica (quella che la Banca centrale controlla meglio) e banconote, oppure tassare la moneta fisica. Questo equivale a imporre un tasso di interesse reale negativo sul denaro.
La politica monetaria classica è morta, il futuro è incerto. Se i banchieri centrali non diventano incredibilmente creativi, prima o poi i politici prenderanno in mano la situazione, come vuole fare Jeremy Corbyn. Il nuovo leader dei laburisti inglesi propone il Quantitative easing for the people: creare denaro per finanziare opere pubbliche o per aiutare direttamente le persone. Sempre meglio un’idea rischiosa che nessuna idea.