Mondo Nuovo Plus, 22 settembre 2015
Biografia di Otto von Bismarck
Il giovane Otto si tagliò la barba e corse a Berlino per salvare il suo re. Ma non riuscì neppure a entrare nel castello. All’inizio del 1848 sembrò andare in frantumi quell’ordine fittizio instaurato in Europa dopo la fine di Napoleone. I primi moti scoppiano nella lontana Palermo, poi insorgono i Parigini, e a febbraio Luigi Filippo si rifugia a Londra. La Francia torna repubblica per la seconda volta. A Vienna, il principe Klemens von Metternich parte di notte in carrozza con la terza moglie sfuggendo alla folla inferocita. Infine, si ribellano i Prussiani. Pretendono diritti democratici e una costituzione. Il sovrano, il debole Federico Guglielmo IV, tentenna, ha paura, il 18 marzo chiede l’intervento dell’esercito. I rivoltosi erigono barricate, si spara, gli scontri durano 20 ore, i morti saranno centinaia. Il Re ordina ai militari di tornare nelle caserme, la folla resta padrona della piazza.
Otto von Bismarck a 33 anni è ormai rassegnato a una vita mediocre in provincia. Colmo di sdegno, organizza un manipolo di suoi contadini armati di schioppi e di forconi, e parte dalla sua tenuta di Schonhausen per salvare la monarchia. A Potsdam, il generale Karl von Prittwitz cerca di dissuadere quella testa calda: rischia di far precipitare la situazione. Invano. Otto si rade, perché la barba lo avrebbe tradito come uno Junker, un rappresentante della piccola nobiltà di provincia. Un gesto di prudenza, anche l’unico. Si mette in testa un cappellaccio con la coccarda tricolore dei rivoltosi, e parte in treno per la capitale, che è distante una trentina di chilometri. Davanti al castello i ribelli lo bloccano.
Rientra a Potsdam, nell’impossibilità di incontrare il Sovrano, tenta di smuovere gli altri membri della famiglia reale perché diano l’ordine di reprimere con tutti i mezzi la rivoluzione. Si fa ricevere dalla principessa Augusta, la moglie del principe ereditario Guglielmo, che si trova in viaggio per Londra. Tra i due nascerà un odio che durerà tutta la vita: “È un irresponsabile opportunista, e sleale’; lo giudica Augusta. Otto non si arrende, va a Magdeburgo per convincere il comandante della guarnigione. Questi minaccia di spedirlo in cella, se avesse insistito nel velleitario progetto.
Bismarck se ne torna in campagna deluso e amareggiato. I suoi ideali sono antichi, e il re di Prussia, così crede, è circondato da traditori e pusillanimi. Il Sovrano non si comporta da prussiano, ma da pragmatico politico: prima concede la costituzione, poi la dimentica.
Quel tentativo è la prima apparizione sul palcoscenico nazionale del futuro Cancelliere di ferro, l’uomo del destino che per decenni ha deciso la storia d’Europa, è riuscito a unificare la Germania, da tanti staterelli un solo Reich, la realizzazione di uno storico sogno. E, indirettamente, ha provocato le tragedie del XX secolo. Per alcuni storici c’è un filo diretto che da Lutero a Bismarck conduce a Hitler. Un giudizio facile, e superficiale. C’è sempre qualcuno che vorrebbe vedere nello spirito tedesco, in Hegel come in Wagner, persino nell’anima romantica, una costante che spieghi gli orrori nazisti.
Otto è nato il 1° aprile del 1815, a cavallo tra due epoche. Nove anni prima, dopo la vittoria di Jena, i soldati francesi avevano occupato e saccheggiato la tenuta di famiglia, Napoleone era entrato a Berlino (27 ottobre 1806), sfilando sotto la Porta di Brandeburgo e, dieci settimane dopo, il 18 giugno, l’imperatore francese sarebbe stato sconfitto a Waterloo. Al Congresso di Vienna, sotto la regia di Metternich, verrà stabilito il nuovo ordine in Europa. Gli Stati tedeschi finiscono sotto l’influenza della Prussia e dell’impero austro-ungarico. Una spartizione a tavolino che sembra saggia e non lo è.
Sarà un trentennio pacifico e noioso, la cosiddetta era Biedermeier della buona e mediocre borghesia senza ideali. Almeno in apparenza. Il rapporto di forze voluto a Vienna nasconde tensioni e problemi sociali irrisolti. Otto cresce in provincia, a pochi chilometri da Stendali, la cittadina sull’Elba da cui prese lo pseudonimo Henry Beyle, l’autore de Il Rosso e il Nero. Subisce un’educazione prussiana. Il padre Ferdinand appartiene a una famiglia di antica e modesta nobiltà, la madre Wilhelmine Luise è una borghese. Dal padre eredita l’orgoglio di casta, dalla madre la razionalità.
Il ragazzo ama il padre, ma lo disprezza per la sua debolezza, e detesta la madre, fredda, autoritaria. I rampolli degli Junker venivano educati a casa da precettori privati. È lei invece, piena d’ambizione, a voler mandare Otto in collegio a Berlino, ad appena sei anni. “Da bambino l’ho odiata’; confesserà più tardi. Ma da lei eredita il carattere, la tendenza a essere spietato con se stesso, alla ricerca della perfezione e del successo. “A casa nella mia giovinezza non mi sono mai sentito a mio agio”; dirà da adulto. “Tutta colpa della mamma”; scrive Volker Pilgrim, nel libro Muttersohne (Figli di mamma, 1986). Per il saggista lo sono tutti i despoti, da Stalin a Napoleone, a Bismarck. Le madri possessive allevano figli spietati.
Nel collegio dove si educano i futuri Beamte, i grandi funzionari del regno, si adottano i metodi di Johann Heinrich Pestalozzi, il pedagogista svizzero. Per gli insegnanti, Otto possiede buone doti ma non è diligente. Ama la letteratura, di nascosto scrive sonetti patriottici, detesta il greco antico, dimostra talento per le lingue moderne. Da adulto padroneggerà, bene o male, inglese, russo, francese, polacco, italiano. Di fede luterana, non è particolarmente religioso, e neppure ateo, protesta con il fratello maggiore Bernhard, che lo accusa di non seguire gli insegnamenti della Chiesa. Dopo la maturità, a 17 anni, la madre lo manda a Gottingen a studiare diritto.
Otto attraversa una breve crisi giovanile, per la prima volta cede alla sua vera natura, che cercherà di reprimere per tutta la vita. Si veste in modo stravagante, ama le ragazze, il vino, il gioco, si abbandona agli eccessi, trascura gli studi. Fuma per strada, cosa scandalosa per i tempi. È litigioso, sosterrà almeno due dozzine di Mensuren, i tradizionali duelli studenteschi. Grazie alla statura gigantesca, un metro e 93, eccezionale all’epoca anche in Prussia, finisce per prevalere, evitando però di ferire gli avversari. Basta un graffio per vincere. “Diventerò un barbone o l’uomo più importante di Prussia”, scrive.
Si trasferisce a Berlino, dove infine si laurea. Vorrebbe intraprendere la carriera diplomatica, entra nell’amministrazione pubblica, si fa inviare ai confini del regno, a Aquisgrana, che è un Kurort, una località di vacanze frequentata dal bel mondo europeo. Si diverte, più che lavorare in ufficio: “Non ho mai potuto sopportare i superiori”, ammette. Ama la disciplina, non quella degli altri. Gioca alla roulette, e perde. Non riuscirebbe mai a saldare i debiti con lo stipendio statale. Provvede il suo benestante papà.
A 21 anni si apre la stagione degli amori. Nell’agosto del 1836 ha una relazione con Laura Russel, nipote del duca di Cumberland. Poi una breve storia con una bella francese, sposata e di 14 anni più grande. L’anno seguente conosce un’amica di Laura, la bella Isabella Loraine-Smith, in viaggio per l’Europa con la famiglia. Chiede in ufficio un permesso di due settimane per seguirla: va a Wiesbaden e in Svizzera, la storia finisce e non si sa perché. Torna ad Aquisgrana dopo mesi, e anche la pazienza dei superiori ha un limite. Addio alla carriera.
Otto si arruola volontario per un anno per assolvere gli obblighi di leva. Nel gennaio del 1839 muore la madre, Otto torna a casa per badare alla tenuta di famiglia, a Kiephof, insieme con il fratello Bernhard, più grande di cinque anni. È un giovane uomo senza ideali, non sa che fare della vita, ma è pratico, risana la proprietà e salda i debiti, suoi e del padre. Si sfoga con lunghe cavalcate per prati e boschi.
Nel 1843 conosce Marie von Thadden, fidanzata con un amico. Lei gli parla di Dio, lui se ne innamora, ma la ragazza non cede. Alle sue nozze, Otto conosce una damigella della sposa, Johanna von Puttkammer. Marie si ammala, e lui per la prima volta prega Dio di salvare l’amica. Invano: Marie muore. Ma lui conserva la fede in un Dio tutto particolare, un Dio che lo comprenda. A 32 anni, infine, si fidanza con Johanna.
Si occupa di politica a livello locale, con l’intento di difendere gli interessi degli Junker. Si candida al parlamento regionale, viene eletto e tiene il suo primo discorso. Un reazionario di razza che scandalizza persino i conservatori, ma le sue parole trovano un’eco a Berlino, a corte. In estate sposa Johanna e le scrive: “Tu sei l’ancora che mi tiene ancorato alla sponda”.
Arriva il 1848. Dopo la fallita impresa per salvare il Re sembra che Otto sia destinato a vegetare nella politica locale. I suoi discorsi sempre più violenti e infiammati tuttavia lo fanno notare, nel bene e nel male. Mentre il Sovrano, almeno a parole, sembra pronto a concessioni ai liberali e ai progressisti, Bismarck va controcorrente, dice quel che pensa, senza controllo, senza farsi guidare da calcoli. Viene eletto nel Parlamento prussiano, ma per il momento il Sovrano lo impiega come diplomatico, lo invia a Francoforte, poi a San Pietroburgo e a Parigi.
Federico Guglielmo è in pessima salute, ormai incapace di intendere, e la reggenza nel 1858 viene presa dal fratello, il principe Guglielmo, che salirà sul trono tre anni dopo. In Prussia cresce l’influenza dei partiti liberali e democratici. Il Re vorrebbe un esercito più efficiente e potente, e portare gli effettivi da 150mila a 220mila uomini. Il Parlamento si oppone. Per il Deutsche Fortschrittspartei, il partito del progresso, i soldati sono cittadini in uniforme. Un’eresia per Gugliemo. Le elezioni del 1862 vedono un’ulteriore crescita dei moderati. Guglielmo vorrebbe abdicare. Il ministro della Guerra Albert von Roon gli suggerisce di affidare il governo a Otto von Bismarck, che si trova come ambasciatore a Parigi. In maggio, il Re lo chiama a Berlino. La moglie Augusta non dimentica, e si indigna: “Per amor di Dio, no! È un uomo senza principi, condurrà il Paese alla rovina” Anche il principe ereditario Federico Gugliemo, chiamato Fritz, è contrario, suggestionato dalla moglie Vicky, la primogenita della regina Vittoria (si sono sposati nel 1857). “Bismarck è un mostro”; scrive Vicky alla mamma a Londra. La tiene informata giorno per giorno su quanto accade a Berlino. Bismarck la considera una spia degli Inglesi, lei ribatte nel diario: “Una figlia non si può confidare con la madre?”.
Il Re vorrà seguire i consigli che gli danno moglie e figlio? Von Roon telegrafa a Parigi: “Periculum in Mora. Dépéchez vous”. Non si perda tempo.
Il 22 settembre, il Sovrano accoglie Bismarck a Potsdam: “Non trovo più chi voglia dirigere il mio governo”; gli confida, “penso di abdicare” È pronto a battersi per la riforma delle forze armate? Sì, assicura Bismarck, eventualmente anche contro la volontà del Parlamento. I due passeggiano a lungo per il parco. Il Sovrano non si fida del tutto e gli consegna un documento di otto pagine con le sue intenzioni. “Sarà un governo del Re o una dittatura”; lo rassicura Bismarck. Guglielmo strappa le sue pagine e gli porge la mano. Giorno fatale per l’Europa.
Il futuro della Prussia sarà costruito su Blut und Eisen, sul ferro e sul sangue, annuncia il Cancelliere nel discorso d’apertura al Parlamento. Troppo duro e focoso per gli stessi conservatori, anche il ministro Roon ne è spaventato. Bismarck è un pericoloso guerrafondaio, si preoccupano i Tedeschi. Lui confida alla moglie Johanna: “Ho esagerato, è stato uno sbaglio” A fatica riesce a tranquillizzare il Sovrano. Il malcontento cresce, l’opposizione parlamentare è irriducibile, il Cancelliere non rispetta le regole democratiche. “È un uomo solo, sta rovinando il Paese” scrive Vicky alla mamma Vittoria. “Sono invecchiato di 15 anni’, si lamenta Otto con Johanna dopo i primi mesi al potere.
Continua a governare calpestando i diritti del Parlamento e obbliga i suoi ministri a una cieca obbedienza. Devono riferire solo a lui e vieta che conferiscano con il Sovrano, l’unico che a Berlino è al suo fianco. Per i Prussiani è un estremista reazionario, lui si considera un avveduto conservatore pragmatico.
Nel febbraio del 1863, appoggia la Russia per soffocare una sollevazione popolare in Polonia, contro il parere degli stessi conservatori. Bismarck comprende che per tenere sotto controllo la Prussia deve “costruire” un pericolo esterno. Una guerra unirà il Paese, e costringerà l’opposizione a tacere. L’opportunità gli viene offerta dalla piccola e pacifica Danimarca, due milioni e mezzo di abitanti, un sesto della Prussia. Il pretesto sono le regioni baltiche dello Schleswig e dell’Holstein, piccoli Stati tedeschi, ma dalla popolazione a maggioranza danese. La controversia è complicatissima e risale addirittura al Sacro romano impero. Copenhagen promulga una costituzione liberale che “vale” anche per gli abitanti delle due regioni. Una provocazione intollerabile secondo Bismarck che convince Vienna del rischio di contagio. La vertenza vede la Prussia isolata contro il resto d’Europa che parteggia per l’indifesa Danimarca. Vicky scrive le solite lettere sdegnate, e trova eco a Londra: Bertie, il principe ereditario, il futuro Edoardo VII, ha sposato la danese Alexandra. In cambio dell’aiuto, gli Austriaci vorrebbero l’appoggio dei Prussiani contro la giovane Italia. Bismarck sarebbe favorevole, ma questa volta il Sovrano dice no: “Neanche un mio suddito dovrà morire per la Lombardia”
NEL FEBBRAIO DEL 1864 si entra in guerra. La resistenza danese è eroica quanto inutile. E adesso c’è il problema di cosa fare dei territori occupati. La Prussia si prende lo Schleswig, Vienna a malincuore il remoto Holstein. Un compromesso ideale per provocare un nuovo conflitto. Bismarck accusa Vienna di non aver represso nel gennaio del 1866 una sollevazione popolare che chiede l’indipendenza dello Holstein, il cui territorio arriva ad Altona, alla periferia di Amburgo. La nuova guerra è imminente. Tutti sono convinti che questa volta il Cancelliere stia affrontando un avversario superiore alle sue forze, Bismarck dimostra il suo talento, o il suo estremo cinismo, a seconda delle circostanze, senza badare ai principi. Era stato pronto ad aiutare Vienna contro il Piemonte e i patrioti italiani, ora stringe un patto con la giovane Italia contro l’Impero austro-ungarico. Nessuno in Europa, a cominciare da Napoleone III, crede che la Prussia possa sostenere il confronto. L’esercito di Francesco Giuseppe è considerato il più forte al mondo, tutti vogliono ricordare le vittorie di Radetzky e non le vergognose sconfitte di Magenta e di Solferino del 1859. In realtà l’Austria Felix ha strutture complesse e antiquate: agli Austriaci occorrono sette settimane per la mobilitazione generale e il loro esercito è composto da uomini di 18 Paesi diversi che parlano altrettante lingue. Alla Prussia bastano tre settimane.
In Prussia, l’opinione pubblica è contro i piani guerrafondai di Bismarck. Perché combattere contro i fratelli austriaci? Il 7 maggio è un giorno splendido e Bismarck dopo aver incontrato il Re, torna a piedi per 1’Unter den Linden. Uno studente di Tubinga, Ferdinand Cohen-Blind, 22 anni, gli spara a bruciapelo cinque colpi, due pallottole trapassano il cappotto, una si ferma sul costato senza neanche graffiargli la pelle. Lo stesso Bismarck afferra il giovane e lo consegna agli agenti. L’attentatore si taglia la gola in cella, non si saprà mai la verità. La fantasiosa spiegazione è che ha sparato “così da vicino” che le pallottole non hanno preso velocità, ma Ferdinand impugna una pistola giocattolo. È rimasto a sua volta vittima, lo strumento di un complotto più complesso per presentare Bismarck come un eroe che rischia la vita per la patria? Anche a corte si dimostra simpatia e comprensione per l’ingenuo e idealista attentatore.
Bismarck si assicura la neutralità di Napoleone III e l’indiretto appoggio dell’Italia. La guerra potrebbe ancora essere evitata, ma il 14 giugno Vienna rivolge un appello agli Stati tedeschi per una mobilitazione generale contro la Prussia. Il Cancelliere invia un ultimatum alla Sassonia e ad Hannover: o consentiranno il passaggio alle truppe prussiane o verranno annientati. I due Stati non si piegano, ed è la guerra. A fine giugno, la Germania settentrionale è conquistata e le truppe marciano su Francoforte per punire l’Assia. Ci si prepara allo scontro decisivo.
La battaglia di Koniggrotz, il 3 luglio 1866, è la più grande della storia moderna, finché verrà superata dai sanguinosi scontri della Prima guerra mondiale. Alla Volkerschlacht di Lipsia, nel 1813, la battaglia delle Nazioni che segna il destino di Bonaparte, prendono parte 430mila uomini. A Koniggratz, località della Boemia, che in Francia o in Italia è conosciuta come Sadowa, sono 460mila, ed è la prima battaglia in cui vengono usati mezzi moderni come il treno e il telegrafo.
Il re Gugliemo cavalca tra Bismarck e il generale Helmut von Moltke, e raggiunge le colline prospicienti alle 19.45. Il Cancelliere, su uno stallone fulvo, indossa la divisa di maggiore della Landwehrkavallerie dall’ampio mantello grigio e sfoggia l’arrogante elmo da corazziere. I Prussiani conquistano la posizione e gli Austriaci vanno al contrattacco, alla vecchia maniera, avanzando frontalmente al suono di corni e trombe, come si combatteva nel Settecento. Avanzano in 4000, e ne tornano indietro 1800. Il bosco è disseminato di cadaveri.
Bismarck dalla collina segue con il binocolo il combattimento, vede le giubbe bianche risalire per le alture e passa il binocolo a Moltke. Il generale osserva e resta per alcuni istanti in silenzio, poi dice al Re: “La battaglia è decisa. Il successo è completo, Vienna è ai piedi di sua Maestà.”
Il Re euforico vuole avanzare e conquistare Vienna. Gli Austriaci sono in rotta, demoralizzati. A Vienna il Kaiser si rende conto che è inutile resistere e cerca di giungere a un armistizio.
Bismarck si trova in una situazione paradossale: sa che sarebbe un disastro per l’ordine in Europa umiliare l’avversario, rischiare la disgregazione dell’Impero d’Austria e Ungheria. Non è facile convincere re Guglielmo, che all’inizio era entrato in guerra di controvoglia, e ora già si vede sfilare da trionfatore fino all’Hofburg, nella capitale di Francesco Giuseppe. Anche perché Napoleone III si mette di mezzo a evitare che la Prussia diventi troppo forte e minaccia di entrare in guerra se le truppe prussiane non si fermano.
Il Re non si lascia convincere, il Cancelliere minaccia di dimettersi e chiama in aiuto il principe ereditario Fritz, che la pensa come lui. “Negli ultimi giorni’; racconta a Vicky, “papà ha detto a Bismarck cose veramente terribili, tanto che ieri sera il Cancelliere ha pianto”. Era così depresso, confesserà in seguito, da aver pensato di togliersi la vita buttandosi dalla finestra. Ma infine prevale la sua prudenza.
All’Esposizione universale di Parigi nel 1867, la Prussia invia una statua equestre di Guglielmo I e un cannone Krupp da 50 tonnellate. Il messaggio potrebbe essere più chiaro? Una Prussia trionfante non piace alla Francia e anche Napoleone III finirà per cadere nella trappola del Cancelliere di ferro, convinto della schiacciante superiorità delle sue truppe.
A metà dell’Ottocento, le guerre non si evitano più grazie a nozze combinate a corte, né si scatenano per questioni dinastiche. Ma una corona servirà da pretesto per la dichiarazione di guerra inviata da Napoleone al re di Prussia. Nel 1868 gli Spagnoli hanno deposto la regina Isabella a causa del suo comportamento immorale. Quando si sceglie come favorito il figlio di un cuoco, la costringono ad abdicare. L’anno dopo il trono è sempre vacante e gli Spagnoli lo offrono a un principe tedesco, Friedrich von Hohenzollern-Sigmaringen. Napoleone reagisce con rabbia: è una trama della Prussia per chiuderlo in una morsa.
Le nuove armi francesi, la mitrailleuse e lo chassepot, non sono ancora a punto. Il momento per un conflitto non è mai stato più favorevole. La guerra deve servire per giungere all’unificazione del Reich sotto la guida della Prussia. Gli altri Stati tedeschi hanno firmato un trattato che li impegna a intervenire al fianco di Berlino, ma solo in caso di aggressione. Napoleone come previsto è furente per gli intrighi di Bismarck. Il 6 luglio 1870, l’Imperatore minaccia la guerra se la Prussia non desiste dalle sue trame. Il 15 giunge la dichiarazione di guerra di Napoleone. È il trionfo di Bismarck. Berlino spera di trascinare la Gran Bretagna al suo fianco in guerra contro Napoleone III. La regina Vittoria ritiene che i suoi Tedeschi abbiano ragione, ma Londra rimane neutrale. A Koniggratz, l’esercito era formato in gran parte da oriundi della Polonia, oggi contro la Francia i soldati provengono soprattutto dalla Germania meridionale, dalla Baviera, dal Baden-Wurtemberg. Fino a che punto vorranno battersi e morire per il re di Prussia? Berlino mobilita con rapidità e schiera tre corpi d’armata lungo il Reno, in poche settimane 1500 treni hanno trasportato quasi mezzo milione di uomini. La tanto temuta arma rivoluzionaria del nemico, la mitrailleuse, si rivela un fiasco, troppo pesante da spostare e imprecisa, e non riesce a bloccare l’attacco dei fanti tedeschi. Il 4 agosto, a Weissenburg, i Francesi devono ritirarsi in gran furia per non venir circondati.
Il 6, ancora una vittoria a Woerth. Questa volta, la mitragliatrice si dimostra micidiale e falcia le file bavaresi che indietreggiano, mentre dall’alto si precipitano gli zuavi in un disperato contrattacco e la cavalleria francese non esita a caricare i cannoni prussiani, in un’azione che ricorda quella suicida degli eroici Seicento a Balaklava. Ma alla fine i reparti della Svevia sfondano il fronte e i Francesi fuggono per evitare la cattura, abbandonando armi e cannoni. I Tedeschi hanno perduto 10mila uomini, i loro nemici 20mila.
La I e la II Armata avanzano su Metz e cadono in una trappola, prese sui fianchi dalla mitrailleuse, ormai messa completamente a punto. Da una parte e dall’altra i comandanti compiono errori fatali e gli uomini muoiono a migliaia. Ai Dragoni prussiani si impartisce l’ordine folle di caricare allo scoperto. È una prova generale per le tragiche battaglie che segneranno la Grande guerra. Anche il figlio di Bismarck, Herbert, viene colpito da tre pallottole. Si diffonde la voce che sia morto. Il padre si butta a cavallo alla ricerca del figlio e lo trova fuori pericolo in un ospedale da campo.
Il generale Patrice de MacMahon avanza lungo la frontiera belga per liberare Metz, con abili manovre sospinge il nemico verso il Belgio per chiuderlo nella sacca di Sedan. Il 31 agosto si giunge allo scontro decisivo: 130mila Francesi circondati da 250mila Tedeschi. Le campagne intorno a Sedan sono coperte di cadaveri. Napoleone III si arrende con 80mila uomini, non trattiene le lacrime e avverte: la sua è una decisione personale, il suo governo continuerà a combattere. Si marcia verso Parigi, la capitale è raggiunta il 20 settembre, ma la città è circondata da spesse mura, è ancora la fortezza meglio difesa d’Europa. Non è pensabile un attacco per espugnarla, come nel Medioevo. Comincia l’assedio, ma si teme che in città scoppi la rivoluzione. Grazie ai Prussiani i “rossi” prenderanno il potere?
Senza attendere la capitolazione, il 18 gennaio, i principi tedeschi si riuniscono nella Sala degli Specchi a Versailles per incoronare Guglielmo Kaiser del Reich tedesco. Il gigantesco quadro di Anton von Werner mostra gli uomini vestiti di nero o in divisa che circondano Bismarck, l’unico vestito di bianco, come una sposa che porta in dote il Reich. “Portare alla luce il neonato imperiale è stato difficile’; scrive Bismarck alla moglie, “in quei momenti i re come le donne hanno strani desideri.” In cambio dei suoi servigi, il Cancelliere viene nominato principe e ha in premio vasti possedimenti, lascerà un immenso patrimonio agli eredi, che ancor oggi vivono di rendita. Il 28 gennaio 1871 capitola Parigi. Il 1° marzo, i Tedeschi sfilano sotto l’Arc de Triomphe, lungo gli Champs-Elysées.
La grandezza e la modernità del Cancelliere di ferro si rivelano non sul campo di battaglia ma nel momento della pace. Bismarck a trattare con gli sconfitti non invia generali, ma tre validi collaboratori, il banchiere Gerson Bleichróder, il magnate Guido Henckel von Donnersmarck, un antenato del regista di Le vite degli altri, e l’industriale Alfred Krupp.
Il terzetto d’affari chiede e ottiene riparazioni di guerra per una cifra spropositata, cinque miliardi di franchi-oro, che di fatto raddoppia il reddito pro capire della Prussia. Le condizioni sono spietate: saldo entro tre anni e pagamento in contanti, cioè in oro. Il bottino viene spedito a Berlino in treni piombati e la parte che non è in lingotti viene prontamente cambiata sulla piazza di Londra. Un’umiliazione che i Francesi non potranno mai dimenticare, con conseguenze funeste nel 1918. Per vendetta imporranno alla Germania sconfitta condizioni troppo onerose: senza il nazismo e il nuovo conflitto, i debiti sarebbero stati saldati solo nel 1966. La Repubblica di Weimar conosce un’inflazione spaventosa, Hitler riesce a conquistare il potere.
Grazie alla vittoria, Bismarck può unificare gli Stati tedeschi, crea il Reich. La Germania, dopo l’Italia, è l’ultima grande nazione a raggiungere l’unificazione in Europa. Un sogno inseguito da secoli. E grazie alla montagna d’oro chiesta e ottenuta dalla Francia come riparazione ai danni di guerra, Bismarck costruisce la fortuna della sua Vaterland, la patria, contribuendo a trasformare la Germania in un Paese industriale e moderno.
L’improvvisa ricchezza ha conseguenze immediate: un boom finanziario che ridà fiato all’economia. Si apre la cosiddetta Grunderzeit, l’era di fondazione. Nel 1872 sono in circolazione 456 milioni di talleri, contro i 236 del 1869, quasi il doppio. Si scatena la speculazione, si gioca in borsa, si provoca inflazione, si investe in modo effimero, si punta su guadagni facili. La bolla scoppierà un paio d’anni dopo, ma il processo non si ferma: grazie alla guerra, la Germania contadina si trasforma in grande potenza industriale.
Tra il 1872 e il 1890, quando finisce l’era Bismarck, il volume degli scambi internazionali del Reich raddoppia, e raddoppia ancora una volta prima della Grande Guerra. Nel 1870, la Germania è al terzo posto nella produzione industriale, vent’anni dopo supera la Francia, nel 1913 avrà quasi raggiunto la Gran Bretagna. Il reddito nazionale nel 1875 è di 14 miliardi di marchi, vent’anni dopo supera i 34 miliardi. La divisione delle ricchezze non è equa ma le condizioni generali migliorano. La vita media passa da 37 anni nel 1880 a 50 anni nel 1910. La popolazione cresce da 41 milioni nel 1870 a quasi 68 milioni nel 1914.
Un successo dovuto anche alla laboriosità e alla pazienza dei lavoratori tedeschi, che accettano a lungo paghe modeste. Ma è l’ultraconservatore Bismarck a introdurre le prime misure sociali. Sarà paternalismo, ma se il lavoratore vive tranquillo, senza paura per il futuro, e per i suoi familiari, renderà anche di più. Il principio è valido tuttora nella Germania di Frau Angela Merkel ed è alla base del continuo successo tedesco.
Il 1888 segnerà l’inizio della fine per Bismarck. È quello che viene conosciuto come l’anno dei tre kaiser. Muore Guglielmo, il figlio Federico rimarrà sul trono poche settimane, e Guglielmo II, ad appena 29 anni, diventa kaiser. “Un pallone gonfiato, un immaturo”; lo giudica Otto. Il giovane imperatore costringe l’anziano Cancelliere alle dimissioni il 15 marzo 1890. Der Lotse geht non Bord, il pilota abbandona la nave, scrivono i giornali. Bismarck si spegne quasi alla fine del suo secolo, nel 1898. Mancano solamente 16 anni alla Grande guerra.