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 2009  dicembre 30 Mercoledì calendario

La Torino-Moncalieri divenuta poi Torino-Genova, le stazioni di posta, la stazione di Porta Nuova

Parte prima
Nel Regno Subalpino, le prime idee e le prime indagini per la costruzione di una strada ferrata risalgono al 1826, allorché alcuni uomini d’affari genovesi, capeggiati dai signori Cavagnari, Pratolongo e Morro, formularono la prima richiesta, peraltro lasciata poi cadere, per studiare una comunicazione ferroviaria da Genova al Po.
Alcuni anni dopo vennero presentate al Governo di Torino altre analoghe richieste. In particolare, i medesimi uomini d’affari genovesi, poi autorizzati a costituire una Società, avanzarono una nuova seria richiesta per studiare il tracciato della linea da Genova al Po verso Pavia, ma solamente nel 1840 il Governo sabaudo concesse a detta Società l’autorizzazione”ad intraprendere studi per una parte delle strade ferrate da Genova al Piemonte, e confine Lombardo”.
L’ingegnere Porro fu quindi incaricato di elaborare il progetto che, dopo essere stato rivisto e modificato dal noto ingegnere inglese Kingdom Isambard Brunel, alla fine del 1843 venne presentato all’esame dell’apposita commissione tecnica governativa, la quale esprimeva, in linea di massima, il suo parere favorevole. Ma l’anno seguente (1844), con Regie Lettere Patenti, si decideva di fare studiare direttamente il futuro sistema delle strade ferrate del Regno, fissandone le linee generali; lo Stato, avendo ben chiaro l’uso che intendeva fare del treno, sceglieva altresì il definitivo percorso della linea in argomento determinando che: il sistema delle strade ferrate dei Nostri Stati di terraferma avrà luogo colla costruzione simultanea di una strada a ruotaie di ferro da Genova a Torino per Alessandria e la Valle del Tanaro con diramazione verso la Lomellina, donde a Novara ed al Lago Maggiore. Il punto, da cui dovrà partire detta diramazione, sarà determinato in correlazione della località che in dipendenza di accurati studi sarà prescelta per varcare il fiume Po con maggiore utilità e sicurezza.
Compiuta od intrapresa la costruzione di detta strada bipartita nella detta direzione verso Torino ed alla Lomellina, verrà eseguita la diramazione di un altro tronco che, da quello verso la Lomellìna, metta alla Lombardia nella Direzione che le circostanze saranno per consigliare più opportuna.
Inoltre, dopo molte discussioni per decidere se le ferrovie dovessero essere costruite e gestite dai privati o dallo Stato, con Regie Patenti del 13 febbraio 1845 si stabiliva inequivocabilmente che”le Strade Ferrate da Genova al Piemonte, con diramazione al Lago Maggiore ed alla frontiera lombarda, verranno costrutte per conto e cura del nostro Governo e a spese delle nostre finanze”.
A quell’epoca, il collegamento di Genova con Torino avveniva attraverso la strada carrozzabile dei Giovi, valico a 472 metri di altitudine fra le Valli del Polcevera e dello Scrivia, strada che con quella della Riviera, detta cornice, fu decisa sotto Napoleone I e terminata sotto il regno di Carlo Felice.
Nel 1845 le comunicazioni di Genova con Milano erano divenute quotidiane a mezzo di diligenze. Ancora verso la metà dell’Ottocento per recarsi da Genova nelle località viciniori ci si doveva giovare di portantine e di bussole. Il viaggio in vettura lungo la Strada Reale-Postale che collegava i due maggiori centri del Regno Sardo richiedeva da Torino a Genova circa 25 ore compreso il tempo per il cambio dei cavalli nelle Stazioni di Posta ed escluso quello occorrente per i pasti e il riposo dei viaggiatori.
Le Stazioni erano collocate ad intervalli o tappe più o meno distanziate a seconda delle difficoltà del percorso e la posizione dei centri abitati; le relative distanze erano calcolate in base ad un’unità di misura, detta posta, che in Piemonte era pari a 8 chilometri. La velocità in pianura era mediamente di 8 chilometri/ora, ma scendeva notevolmente nei percorsi montani.
II Mastro di Posta vestiva la piccola livrea di S.M. e aveva come distintivo il pelo di tasso alle briglie dei cavalli; i Postiglioni, ai quali era riservato l’uso della cornetta, avevano una divisa uniforme di panno blu con galloni d’argento, colletto e paramani di panno scarlatto, cappello tondo di cuoio.
Le Stazioni di Posta erano anche alberghi o almeno osterie; in esse si potevano incontrare i Corrieri di Gabinetto del Re ed i Corrieri di Malla, che viaggiavano su veicoli leggeri a due ruote. I legni forniti dalle Stazioni dì Cambio erano di vario tipo: potevano portare ognuno, tirati da 2 a 6 cavalli, da 2 a 6 viaggiatori.
Si comprende come i viaggi fossero molto cari; è stato calcolato che il costo del percorso da Torino ad Asti (8 poste) equivalesse a 7-10 giornate di salario di un operaio qualificato.
Parte seconda
Nello studio del tracciato della parte montana della ferrovia per Genova, che in più punti comportava la risoluzione di notevoli problemi tecnici, il Brunel proponeva un singolare sistema di piani inclinati per il superamento del più arduo ostacolo, rappresentato dallo scavalcamento dell’Appennino al colle dei Giovi.
Nel novembre del 1845 venivano prontamente appaltati i lavori per la costruzione dei primi lotti di linea a doppio binario, lavori che procedettero alacremente a partire dal 1846. Cosicché il 24 settembre 1848, in una bella giornata autunnale, si inaugurava il primo tratto di 8 chilometri da Torino a Moncalieri.
Due giorni prima il Ministro dei Lavori Pubblici Paleocapa scriveva al Re:
Non vuolsi certamente riguardare come un grande risultato pel vantaggio del pubblico e dello Stato, lo aprirsi che si propone al presente del solo tronco di strada ferrata, che da Torino conduce a Moncalieri (...). Ma il solo atto per cui mette corso di esercizio questo primo tronco di strada ferrata convincerà il pubblico della sollecitudine con cui il governo della Maestà Vostra cercò il mezzo alle straordinarie circostanze dei tempi di promuovere indefessamente l’attivazione di questo importantissimo ramo di pubblica amministrazione, e di non trascurare, mentre si combatteva per l’indipendenza della patria, d’arricchirla di un pronto mezzo di futura prosperità.
Alla cerimonia inaugurale, avvenuta alla presenza delle Autorità, anche se alquanto contenuta e sobria, lo spettacolo offerto dal pubblico esultante, che riempiva i non grandi spazi delle due modeste stazioni capitronco, fu entusiasmante.
Tali stazioni provvisorie erano state costruite molto frettolosamente e diverse cose restavano ancora da definire; gli impianti dello Scalo di Torino, ubicato in una felice posizione, oltre che provvisori, erano limitati e modesti.
In una relazione del 25 giugno 1848, l’Intendente Generale delle Strade Ferrate dello Stato, avvocato Bona, scriveva al Ministro:
II Sig. Ispettore Cavaliere Melano ha presentato i disegni, la perizia ed il capitolato delle opere, che più preme di eseguire per lo stabilimento della stazione di Torino, rimandando le altre a tempo più opportuno.
Le opere che ora si tratterebbe di appaltare sono le seguenti, e cioè:
  1. Il trasporto della Strada Reale di Nizza e di quella di Stupinigi (attuale Via Sacchi) sull’allineamento delle due contrade dei Conciatori e della Provvidenza.
 
  2. La formazione di canali di scolo.
   
  3. La regolarizzazione dell’area della stazione.
   
  4. E la costruzione di sette fabbriche, non che dei muri di cinta della stazione medesima.
   
Le opere da farsi sono valutate nella totale somma di Lire 640.800.
Le somme assegnate nel Bilancio dell’Azienda per la stazione di Torino sono piucché bastevoli per sopperire alla detta spesa.

In realtà, il giorno dell’inaugurazione, non solo non troneggiava ancora l’imponente facciata di Porta Nuova davanti alla Piazza Carlo Felice, appena abbozzata, ma esistevano pochi binari e un modesto baraccone di legno accoglieva le fumate delle prime tre locomotive battezzate Carlo Alberto. Però, ben presto, davanti alla stazione provvisoria di Torino, lungo la Via Nizza, incominciarono a sostare le carrozze ed i primi omnibus a cavalli istituiti lo stesso anno per i collegamenti pubblici cittadini.
Parte terza
Il giorno seguente all’inaugurazione fu iniziato il regolare servizio pubblico con l’istituzione di sei coppie di treni, fra le ore 7 antimeridiane e le ore 7 pomeridiane. La stampa locale non dedicò molto spazio all’avvenimento. Un giornale cittadino, due giorni dopo, così riportava la notizia:
Ieri mattina, alle sette precise, veniva aperto alle corse pel pubblico il primo tronco di strada ferrata ormai terminato, quello da Torino a Moncalieri. Le corse durarono, alternate d’ora in ora fra le due stazioni, sino a sera, con un’accorrenza sempre crescente, di persone impazienti di fare in pochi minuti, comodamente, ed a prezzo insignificante, quel tratto di via onde Moncalieri è ormai un sobborgo di Torino.
Le norme recitavano: “I viaggiatori sono ammessi nelle vetture 15 minuti prima della partenza ed al segno che se ne darà colla campana”; inoltre”si consigliano i viaggiatori a non tenersi in piedi nelle vetture ed a sortire dalle medesime, se non che dopo fermato il convoglio e dopo che gli sportelli delle vetture siansi aperti dalle guardie”.
Le cronache dell’epoca ebbero a registrare presto un incidente a Moncalieri per”uno scontro di due convogli causato dall’anticipo dell’arrivo di uno e dal ritardo della partenza dell’altro di qualche minuto. Sessanta passeggeri riportarono ammaccature non gravi”. Intanto, l’anno seguente, in ossequio alla sbrigativa procedura adottata, volta ad aprire al pubblico ogni singolo tratto appena terminato, entrava in esercizio il tronco da Moncalieri ad Asti e poi, nel 1850, il percorso da Asti ad Alessandria e a Novi Ligure.
È interessante notare come l’esercizio ferroviario venisse via via aperto senza attendere che fossero completamente eseguiti i lavori al corpo stradale, con i fabbricati delle stazioni provvisori e addirittura ancora da costruire ed in presenza anche di un solo binario.

La ferrovia raggiunge Genova

Partendo da Torino, il primo tratto del percorso fino a Moncalieri non presentò grandi difficoltà, anche se si dovettero eseguire alcune opere particolarmente impegnative quali il lungo viadotto, detto del Mercato, ed il ponte sul Po a Moncalieri. Peraltro, l’imperativo era quello di portare rapidamente a termine i lavori.
Ad un rilievo scritto dell’Intendente Generale Bona, perché i lavori stessi non progredivano con la richiesta celerità, il direttore dei lavori, ingegnere Spurgazzi, rispondeva in data 25 giugno 1847, che”uno spediente per ottenere un tale intento sarebbe di lavorare d’or innanzi anche nei giorni festivi fino a tanto non sia per intero collocata l’armatura dei sette archi del ponte (...) se non che per effettuarlo manca l’assenso del parroco, il quale rispose non dare un tale permesso senza un ordine emanato dal Ministro e segnato dall’Arcivescovo di Torino”.
Tale permesso veniva puntualmente accordato. Lo stesso Bona, in un’altra lettera del 4 luglio 1848, scriveva all’ingegnere Spurgazzi in merito ai lavori nella stazione di Moncalieri: “... rimasi sorpreso dalla scarsità dei battipali e degli uomini impiegati nei lavori di fondazione della Stazione … So che tale scarsità di mezzi d’opera penda dall’avarizia dell’imprenditore (ing. Gagliazzi) il quale pretende di fissare agli operai una mercede troppo tenue rispetto a quella che si suole corrispondere in altri cantieri”.
Nella costruzione della prima parte della linea si dovettero affrontare rilevanti difficoltà per l’attraversamento della zona collinare fra San Paolo Solbrito e Villafranca. Da San Paolo a Dusino venne costruito un tratto di linea provvisoria, mentre da Dustino fino a Stenevasso si istituì un servizio di omnibus a cavalli con un percorso di circa 2.700 metri.
Questo servizio di omnibus si rivelò alquanto gravoso e penalizzante per la circolazione, per cui presto si pensò di sostituirlo, costruendo un nuovo tratto di linea provvisoria a piano inclinato per far circolare convogli”retti nella discesa da carri-freno e rimorchiati nella salita da cavalli”; tuttavia, anche se si era ottenuto un miglioramento, l’esercizio risultò ancora”penoso al pubblico pel tempo richiesto al tragitto, massime nell’ascesa, gravoso assai all’Amministrazione e per la spesa di manutenzione e vigilanza che su esso si richiese tanto moltiplicata, e per l’altra principalmente dei cavalli, come si è detto, impiegati nel rimorchiarlo e del personale addetto al governo di quegli animali”. Si convenne pertanto di fare subito studiare da una apposita commissione di ingegneri un tipo di trazione più economico e più sicuro, con la consulenza del famoso ingegnere inglese Robert Stephenson, figlio del più noto George, inventore della locomotiva a vapore.                               
Per superare l’inusitata pendenza del 26 per mille di quel tratto di linea, fu quindi studiato l’impiego di locomotive appositamente modificate che lo stesso Stephenson provvide a costruire nella sua celebre officina-inglese di Newcastle-on-Tyne. Nell’agosto del 1851 i cavalli furono sostituiti dalle nuove locomotive speciali, che «attaccate a Villafranca ed a Dusino valgono o come potenti motori in salita o come fortissimi freni in discesa”.
Frattanto, all’inizio dello stesso anno, l’esercizio della linea era stato prolungato fino ad Arquata, con un percorso di ormai 125 chilometri; la pendenza non superava il 5 per mille, tranne un breve tratto dell’8 per mille e quello del 26 per mille del piano inclinato del Dusino. L’attivazione dell’esercizio sull’accidentata tratta da Arquata a Busalla, di 18,4 chilometri e con pendenza massima dell’8.2 per mille, venne effettuata esattamente due anni dopo, il 10 febbraio 1853, mentre l’intero percorso fino a Genova Porta Principe, lungo complessivamente 166 chilometri, fu portato a compimento con l’inaugurazione dell’ultimo tratto fra Busalla e Genova, avvenuta il 18 dicembre dello stesso anno.
All’inaugurazione ufficiale della linea del 20 febbraio 1854 parteciparono anche il Re Vittorio Emanuele II ed il Primo Ministro conte Cavour.
Un cronista presente alla cerimonia scrisse:
Lunedì 20 fu bellissimo giorno pel Piemonte. La festa dell’inaugurazione della strada ferrata, fu a Genova favorita da splendido sole. La piazza Caricamento presentava un aspetto magnifico, indescrivibile. Il numero delle persone che vi erano convenute da tutte parti era straordinario. Furono costrutte parecchie logge e tutte erano gremite. Perfino sui tetti notavasi folla di gente, né l’accesso ai tetti era accordato senza una buona mancia da 5 a 10 franchi.
Nella Piazza era la Guardia Nazionale, l’Esercito, gli allievi del Collegio Nazionale, del Collegio Civico, della Scuola di Marina. Vi fu eretta una cappella ove officiava l’Arcivescovo Monsignor Charvaz, assistito da numeroso clero, e dirimpetto una loggia per la Famiglia Reale, membri del Parlamento, del Consiglio di Stato, della Magistratura, tutti gli invitati insomma erano in logge distinte.
Il convoglio reale, composto di cinque vetture, di cui tre magnifiche. ma costrutte e ornate con molta semplicità. giunse ad un’ora e un quarto, e venne annunciato da 100 colpi di cannone. S.M, fu accolta da acclamazioni fragorose e reiterate. Quindi incominciò la funzione religiosa, che durò circa un’ora ed ebbe termine colla benedizione di sei locomotive, alle quali furono imposti i nomi di Cristoforo Colombo, Andrea Doria, Genova, S. Giorgio, Emanuele Filiberto, Torino, e colla partenza del convoglio delle merci.
A noi non ispetta descrivere le feste di Genova. Questa celebre città, che sembra sì apatica, mostrò comprendere come la strada ferrata inizii un’era nuova per il suo commercio.
Per farsene un concetto non faceva mestieri d’altro che d’essere in piazza Caricamento. Da una parte il mare, dall’altra la terra; là il piroscafo, qui la locomotiva e le rotaie di ferro, due mondi che si uniscono e si abbracciano
.
Per non ritardare l’attivazione della linea, la stazione di Genova Porta Principe venne approntata con carattere provvisorio, così come era successo per quella di Torino Porta Nuova. La costruzione del fabbricato viaggiatori definitivo venne però già iniziata lo stesso anno 1854 ed ultimata nel 1860.
L’intera linea Torino-Genova era stata subito costruita con sede a doppio binario. Le opere d’arte eseguite furono oltre centotrenta e almeno una trentina i ponti e viadotti di rilevante importanza; nella sola tormentata tratta da Arquata a Busalla furono gettati otto ponti su corsi d’acqua e perforate quattro gallerie di lunghezza variabile da 508 a 866 metri.
I lavori per la costruzione del tratto di linea compreso fra Busalla e Genova risultarono particolarmente impegnativi ed onerosi. Essi comportarono l’esecuzione di opere di notevole rilievo tecnico per l’attraversamento dell’Appennino ligure al valico dei Giovi, quali i piani inclinati già menzionati per la tratta da S. Paolo a Dusino e la famosa galleria di 3.259 metri; una lunghezza veramente eccezionale per quei tempi. Di quest’ultima ebbe ad occuparsi anche l’ingegnere belga Henry Maus, noto progettista ed esecutore di opere idrauliche e ferroviarie, del quale avremo occasione di parlare.
Di grande importanza era la scelta del tipo di trazione lungo il percorso a fortissima pendenza da Busalla a Pontedecimo. Nel tratto di rampa a più elevata pendenza, lo stesso ingegnere Maus e alcuni valenti tecnici, fra i quali gli ingegneri Sommeiller e Ruva, studiarono brillantemente nuovi originali tipi di locomotive, pure costruite dalle Officine dello Stephenson, denominale “Mastodonti dei Giovi”, costituite da due macchine accoppiate fra di loro che servirono”al traghetto dei convogli sulla rampa del 35 per mille di cui l’eguale non si ha su altre strade ferrate esercitate con locomotive”. Su detta rampa esse erano in grado di trascinare convogli del peso di 150 tonnellate a 12 chilometri orari.
Fin dall’apertura dei primi tratti la gestione risultò molto soddisfacente; allora i convogli giornalieri della tratta Torino-Arquata, di 125 chilometri, erano normalmente costituiti da tre coppie di treni, più una coppia per le piccole velocità, che impiegavano a percorrerla tre ore e quaranta minuti.
Gli introiti aumentavano fortemente con l’estensione dell’esercizio e, dopo tre anni dall’apertura dell’intera linea, gli utili erano diventati consistenti e facevano sorgere ulteriori speranze in previsione dell’apertura della ferrovia del Fréjus.
Come innanzi già accennato, pur di attivare rapidamente le varie sezioni di linea, spesso venivano costruiti edifici provvisori, limitando gli impianti di stazione al minimo indispensabile: ciò accadde anche per la stazione dello scalo di Torino, dove gli stessi impianti, in buona parte provvisori, vennero costruiti in più riprese.
La Strada Ferrata Torino-Genova fu motivo di giustificato orgoglio per i cittadini del Regno Sabaudo; uno scrittore faceva notare che “debbe goder l’animo ad ogni buon piemontese il vedere in questa bella città d’Italia compiuta la Strada Ferrata da Torino a Genova, la più grandiosa, monumentale e difficile di tutte le strade ferrate costruite e progettate non solo in Italia, ma in tutto il continente europeo. Difficoltà che parevano insuperabili furono vinto dall’arte”.
La prima stazione ferroviaria di Torino
La costruzione dell’importante linea ferroviaria collegante Torino con Genova rese necessaria l’erezione di molte stazioni, sia nelle due città agli estremi della linea, sia nelle località intermedie, toccate dalla ferrovia.
A Torino, data l’urgenza, poiché si avvicinava l’attivazione della prima tratta, da Torino a Moncalieri, venne eseguita nel 1848 in fregio alla via Nizza, parallelamente ai binari. una modesta costruzione provvisoria di legno, a pianta rettangolare, ad un solo piano e con un piccolo avancorpo, la cui superficie coperta non raggiungeva 240 metri quadrati. In essa trovarono posto l’accesso dei viaggiatori, un atrio, la biglietteria, le sale d’attesa e l’alloggio del guardiano.
Il progetto era dovuto all’ingegner Spurgazzi della Direzione Lavori. L’edificio prese il nome di Imbarcadero di Genova, quasi fosse il luogo di inizio di lunghi viaggi per mare e preludesse a collegamenti con Paesi lontani.
I torinesi compresero che questa soluzione provvisoria era derivata dalla necessità di sollecitare al massimo l’entrata in esercizio di una linea di importanza capitale per lo sviluppo dell’economia piemontese e non sollevarono molte recriminazioni. Il Cibrario nella sua storia di Torino scriveva:
Conviene pure, che io rammenti l’imbarcadero della via di ferro prossima a stabilirsi vicino a Porta Nuova, perché questa via. o per meglio dire queste vie, segneranno un’epoca nuova per la patria nostra, renderanno il Piemonte centro e guida d’uno dei più estesi e più facili e più pronti commerzii, che mai sieno aperti all’ingegno e all’industria degli italiani, e faranno soave e reverendo all’intera penisola, anzi a tutte le genti che vi parteciperanno, il nome, la sapienza e la costanza del re Carlo Alberto.
Di fronte all’imbarcadero sorsero in Via Nizza due cafés chantants alla moda parigina: il Madrid e il Lago Maggiore.
Quando venne affrettatamente inaugurato il primo tratto della linea da Torino a Moncalieri, gli impianti dello Scalo Ferroviario del Capolinea torinese occupavano una superficie molto modesta. Oltre al descritto baraccone provvisorio di legno della stazione, eretto in fregio alla via Nizza, esistevano praticamente solo alcuni binari, la rimessa del materiale rotabile e una piattaforma girevole, mentre si stava concretando il progetto per la costruzione di una tettoia di legno, lato S. Salvano, studiata dall’ingegnere Melano, per la riparazione delle carrozze.
Era quindi parso subito evidente che già all’inizio del successivo anno 1849, con l’apertura all’esercizio della sezione da Torino ad Asti, la prima stazione del capolinea sarebbe risultata del tutto insufficiente per il servizio da svolgere, servizio destinato ad aumentare progressivamente nel tempo.
Pertanto, in quello stesso anno, l’ingegnere Spurgazzi. direttore dei lavori del primo tratto di linea, che aveva costruito il baraccone provvisorio dell’Imbarcadero di Genova, per porvi rimedio progettò ed iniziò la costruzione di una seconda stazione provvisoria.
Egli eresse un fabbricato di muratura, senza pretese architettoniche, perpendicolare ai binari, che aveva quindi la sua fronte parallela a quella del fabbricato attuale, ma più avanzata verso la piazza Carlo Felice. La sua posizione si trovava infatti, all’incirca, sull’asse del corso del Re, già viale dei Platani e ora corso Vittorio Emanuele II.
Era un edificio basso, di forma rettangolare piuttosto allungata, ad un solo piano, sopraelevato rispetto al terreno circostante, della lunghezza di 60.42 metri per metri 17 di larghezza, coprente un’area di circa 1.100 metri quadrati. Esso comprendeva:
• un atrio sul fronte principale;
• la biglietteria al centro dell’edificio, con un ufficio retrostante;
• due sale di attesa, una di 1° e 2° classe e l’altra di 3° classe;
• due locali più un ufficio per i bagagli in arrivo e per la spedizione di quelli in partenza;
• infine i servizi igienici.
Verso i binari una tettoia di legno proteggeva i viaggiatori, per tutta la lunghezza dell’edificio.
Questo fabbricato viaggiatori, detto Imbarcadero di Porta Nuova, rimase in esercizio fino al 1867, allorché entrò parzialmente in funzione la nuova stazione definitiva.
Fra gli impianti dì carattere provvisorio costruiti nei primi anni di quel periodo, vi erano due grandi tettoie di legno della superficie complessiva di circa 2.770 metri quadrati, poste a copertura di altrettanti marciapiedi e binari, attestate verso il fabbricato viaggiatori e debitamente chiuse da apposite cancellate di ferro.
Passavano però gli anni ed i benefici effetti del collegamento ferroviario statale di Torino con Genova, inaugurato il 14 giugno 1853, si facevano sempre più sentire e ciò metteva in maggior risalto la mancanza di una stazione torinese decorosa e funzionale. D’altra parte, il continuo aumento dei traffici aveva portato ad ampliamenti dell’Imbarcadero, che però per il loro carattere provvisorio non erano in grado di soddisfare le accresciute esigenze. Una razionale soluzione definitiva diveniva pertanto sempre più urgente.
Mentre in diverse stazioni della tratta di linea allora attivata fino ad Arquata Scrivia, quali quelle di Alessandria ed Asti, i fabbricati viaggiatori ed i principali impianti erano stati costruiti definitivi, invece nello scalo di Torino si continuò ad aggiungere impianti provvisori. Infatti, dopo la costruzione della seconda stazione, con il progressivo aumento del traffico, che cresceva parallelamente al grande sviluppo delle ferrovie piemontesi degli anni Cinquanta, proseguirono gli ampliamenti ed i potenziamenti ma le nuove costruzioni erano quasi sempre di carattere provvisorio ed economico.