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 2015  settembre 22 Martedì calendario

L’importanza del riassunto, a scuola e non solo. Presunzione ed egolatria sono alla base del suo attuale discredito: per riassumere bene bisogna essere capaci di ascoltare, e di comprendere

Caro Gramellini, è vero, come hai scritto sabato sul tuo «Buongiorno», che a scuola il dettato fa bene, ma il riassunto fa meglio. Era il 1982 quando due grandi intellettuali, Umberto Eco e Italo Calvino, ne tessevano gli elogi, ma, da allora, quel meritorio appello è stato sempre meno ascoltato. All’estero, questo esercizio si pratica più spesso; in Italia, è imputato di una grave colpa: uccide la creatività. Infatti, musica, letteratura, arte, da noi, mostrano oggi un tasso di creatività sconosciuto ai poveri stranieri costretti al riassunto. È la solita presunzione che il talento si coltivi attraverso solitari giri di valzer intorno al nostro cervello e non con il dialogo.
È naturale che il riassunto sia considerato un ferrovecchio, perché saperlo fare vuol dire essere interessato ad ascoltare gli altri e a comprenderli. L’egolatria dei nostri tempi non concepisce altro che cinguettare in 140 caratteri il nostro pensiero (sperando che lo si abbia) o liberare in tv le grida di un’ira universale. Così, la pretesa di sapere se di un testo è stato compreso il significato e se si è capaci di sintetizzarne la tesi, non è una richiesta esagerata: è inutile.
Per chi ambisce, poi, a fare il giornalista, il riassunto dovrebbe essere l’unica, suprema prova d’esame. E meno male, caro Massimo, che non tocca più a noi.
Riassunto.
Macché dettato, è meglio che a scuola si faccia il vecchio riassunto. Solo così si impara ad ascoltare gli altri e a capire che cosa ci vogliano dire. E, magari, si capirà anche che cosa diciamo noi e che cosa vogliamo dire agli altri.