Corriere della Sera, 22 settembre 2015
Dalle 10 del mattino di ieri fino a sera Skype ha smesso di funzionare per un numero ancora imprecisato dei suoi 300 milioni di utenti in tutto il mondo. Niente videochiamate e videoconferenze, niente scambi in chat, e per molti nemmeno la possibilità di entrare nel programma con nome e password. Una «tempesta perfetta» nei pc. Nelle stesse ore problemi anche per Apple, Amazon e Chrome
«Non mi capitava da tempo un lunedì mattina così fruttuoso», scherza un utente su Twitter. Si riferisce a Skype, che dalle 10 del mattino del 21 settembre ha smesso di funzionare per un numero ancora imprecisato dei suoi 300 milioni di utenti in tutto il mondo.
Niente videochiamate e videoconferenze con i contatti più o meno lontani. Niente scambi in chat con il vicino di scrivania o con l’amico in vena di sdrammatizzare l’inizio della settimana dalla sua postazione in un’altra azienda. E per molti neanche alcuna possibilità di entrare nel programma con nome e password.
Un’oasi di pace, come ha cinguettato ironicamente qualcuno? Non proprio, perché la soluzione acquistata da Microsoft nel maggio del 2011 è un punto di riferimento per la vita personale e professionale di milioni di persone. E un disservizio di questo genere altro non fa che orientare il traffico verso le alternative, a partire da WhatsApp di Facebook, in grado di veicolare telefonate attraverso la rete dalla scorsa primavera, o Viber, per citare solo una delle tante altre realtà analoghe.
Nelle prime ore successive all’inizio dell’andamento a singhiozzo, battezzato su Twitter dall’hashtag #SkypeDown, la versione web era ancora disponibile. Si poteva, quindi, comunicare attraverso il sito aggirando il problema del programma per computer o Mac e dell’applicazione per smartphone e tablet: non fosse che la mole di utenti che ha provato a farlo ha causato anche il crollo di quest’ultimo fragile baluardo.
Nel tardo pomeriggio le rassicurazioni di Microsoft, secondo cui la non meglio precisata criticità che non ha coinvolto i clienti aziendali (le società che pagano la versione potenziata per effettuare le comunicazioni interne) è stata risolta e il graduale ripristino del servizio.
Rimane una mezza giornata di battute e irritazione che non ha avuto confini geografici: dall’Europa agli Stati Uniti passando per il Giappone ci si interrogava su cosa stesse accadendo. E lo si faceva non solo con chi era, in carne e ossa, a portata di domande e considerazioni ma anche e soprattutto nella pubblica piazza digitale, che persino quando causa problemi di dimensioni planetarie si rivela il contesto ottimale in cui provare a risolverli.
Nel mirino ieri non c’era solo Skype: caso ha voluto che Apple abbia affrontato (e risolto) a cavallo del fine settimana la pubblicazione di applicazioni infette sull’App store da sviluppatori cinesi caduti nel tranello di un hacker. E ancora, domenica un problema di un data center di Amazon ha messo ko il sito di e-commerce ma anche realtà che si affidano alla sua struttura, come Netflix o Tinder. Difficoltà nelle stesse ore per il browser Chrome, vittima di un indirizzo killer che ne blocca le funzioni. Una sorta di, casuale, tempesta perfetta digitale che ci ha ricordato quanto siamo dipendenti da questi strumenti. Anche e soprattutto in un lunedì mattina di settembre.