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 2015  settembre 21 Lunedì calendario

La guerra di Jonathan Franzen contro il web. Nel suo nuovo romanzo “Purity” lo scrittore americano riaffronta il tema della tirannia della Rete. E riemerge il suo odio per Steve Jobs: «Per potersi salvare resta solo l’opzione di boicottare Apple»

C’è un protagonista osceno, nel senso letterale del termine, nascosto in “Purity”, purezza, il nuovo romanzo dello scrittore Jonathan Franzen (uscito ai primi di settembre negli Stati Uniti e in arrivo in Italia a marzo per Einaudi) e il suo nome è Steve Jobs. I due non si sono mai amati e quando Jobs, anni fa, è finito al creatore, nella commozione del mondo, Franzen a chi gli avesse chiesto un commento, ribatteva con un «no, non voglio dire nulla sulla morte di Steve Jobs perché non mi sembra il momento adatto per discutere quanto odio Apple».
Del resto l’Illinois, terra natale dello scrittore, e la California, patria di Jobs, in comune hanno quasi nulla se non gli Stati Uniti d’America che li ospita ma la geografia, si sa, non è quasi mai un dato culturale. Purezza contro contaminazione, dunque. Letteratura contro informatica, perché al di là di ogni trama da quarta di copertina, questo è il cuore pulsante di “Purity” un lavoro manicheo, che traccia netti i propri confini tra bene e male. Buoni e cattivi. Vivi e morti. Il libro narra di attivismo politico e culto della personalità su internet, del rapporto tra le generazioni di oggi e quelle del secolo scorso, degli anni Settanta, e lo fa attraverso la vita di Purity Tyler, detta Pip, una giovane studentessa.
Nella trama hanno un grande spazio, anzi una vera centralità, la sorveglianza e la privacy digitale, un plot dove il presente che viviamo si ritrova più spiato e meno libero della ex Ddr, quella Germania dell’Est comunista che si fotteva le vite degli altri e pure qualcos’altro. Non v’è dubbio quindi che nella purezza che svanisce l’antieroe di Franzen sia Steve Jobs, l’uomo che anziché scrivere libri e racconti ha compiuto l’ultima rivoluzione, quella tecnologica del presente che viviamo, impiegando l’allegria della letteratura, il “siate visionari, siate folli” detto in faccia agli studenti-laureandi di Stanford per sedurre il pianeta. In “Purity” si legge e prende forma un j’accuse esplicito, rivolto ad internet ed ai social network imputati di distruggere ogni forma di privacy. Un ambito in cui nel romanzo si muovono due personaggi secondari, ma importanti, un hacker – che pare molto simile a Julian Assange – ed un giornalista d’inchiesta. Del resto Franzen non ha mai nascosto il proprio fastidio per internet e pure per i media, come quando definì Twitter “indicibilmente irritante” o chiese che il suo libro, “Le correzioni” venisse tolto dalla lista dei volumi consigliati per Natale dal programma televisivo di Oprah Winfrey.
Provocazioni, un modo per alimentare la propria fama, certo, ma anche al fondo un sincero disprezzo culturale. Di Franzen basta aver letto “Libertà” (in Italia edito da Einaudi) per rendersi conto della sua avversione per internet e per la Apple, il colosso di Cupertino costruito in gran parte sulle invenzioni di Steve Jobs. Ancora lui, l’antieroe contemporaneo nella poetica di Franzen perché Jobs ed il suo fare nel mondo sono, in fondo, il maggiore esempio della contaminazione che la letteratura porta con sé. «Il vostro tempo è limitato – diceva Jobs agli studenti di Stanford – quindi non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro. Siate affamati, siate folli, perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo lo cambiano davvero». Jobs, il mondo, con l’iPad, l’iPhone e le sue continue alchimie informatiche lo ha oggettivamente cambiato, in profondo, che piaccia o no. I romanzi di Franzen, beh quelli lo han trasformato molto meno ponendo ancora una volta, con ruvidezza, il tema dell’inutilità della letteratura.
Nel duello tra Steve e Jonathan, tra la California e l’Illinois, tra la tecnica e la scrittura, in fondo c’è l’eterna ambiguità dell’essere umano e dei suoi limiti. Superarli con l’azione o rifletterci sopra, prenderne atto. Contaminarsi o rinunciare, per restare puri. Dei due uno è morto troppo presto, è vero, ma continua a vivere nelle sue invenzioni e nei romanzi del suo avversario Jonathan. Sono gli imprevisti del mondo, un luogo strano dove – come ha scritto lucidamente Carmelo Bene, nella propria autobiografia, “Sono apparso alla Madonna” – “v’è una nostalgia delle cose che non ebbero mai un cominciamento. Affondare la propria origine – non necessariamente connessa alla nascita – è destinarsi un reale-immaginario”. E chissà, forse Franzen, lo scrittore dell’Illinois, avrebbe voluto essere Steve Jobs. Non in purezza ma almeno un po’.