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 2015  settembre 21 Lunedì calendario

Ti lascio in eredità i miei pensieri... Da pochi mesi esiste il testamento digitale: consente di designare chi gestirà dopo la propria morte i dati affidati a internet. E sulla Rete esplode il business del caro estinto C’è persino il cimitero virtuale

Partiamo dai numeri. Secondo il sito worldometers.info, le persone nel mondo in questo istante sono 7 miliardi 363 milioni e spiccioli. Gli utenti di internet 3 miliardi 194 milioni, quelli di Facebook sono più dei cinesi: 1 miliardo e 400mila. Il 24 agosto, Mark Zuckerberg ha annunciato che per la prima volta un miliardo di persone ha usato Facebook in un solo giorno (in pratica un terrestre su sette era collegato). Trenta milioni di italiani navigano in Internet, due terzi dei quali usa i social, 20 milioni postano ogni giorno su FB. Sempre secondo worldometers quest’anno sono già passati al creatore 40 milioni di persone. Ovvio che tra i morti ci siano anche gli internettiani, secondo statistiche ufficiose sarebbero 30 milioni gli account di defunti in Fb, e muoiono e moriranno in futuro anche per l’invecchiamento della tecnologia e in ragione del fatto che attualmente la fascia più in crescita di internauti, nel nostro Paese, è quella tra 55 e 65 anni, ovvero la più soggetta a malattie cardiovascolari. Se Facebook non è ancora il più grande continente nel pianeta, di certo è il più grande cimitero del mondo. Così sia.

LA FINE DEI DATI

Da qualche anno, non a caso, ci si pone il problema di cosa succeda ai profili degli utenti deceduti nei vari social. Google ha affrontato il tema nel 2013, istituendo l’Inactive Account Manager – definito in modo tenebroso Death manager – che dà la possibilità agli iscritti dei vari servizi – da Gmail a YouTube – di decidere la fine dei propri dati in caso di decesso: cancellarli o lasciarli in eredità, specificando fino a 10 contatti di legatari. Facebook ha pareggiato, nel 2015, con il servizio di Legacy Contact, entrato in funzione anche da noi lo scorso 31 luglio: una sorta di testamento digitale che permette di designare un erede del profilo il quale, post mortem dell’utente, potrà svolgere alcune funzioni (tipo rispondere a nuove richieste di amicizia qualora ci siano necrofili desiderosi di stringere legami con l’anima del compianto; aggiornare l’immagine del profilo come si fa con gli ovali sulle lapidi), oppure cancellare definitivamente l’account. Basta accedere alle «impostazioni», e nella sezione «protezione» compilare il «contatto erede». «Milioni di persone negli Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda e Giappone hanno scelto Legacy Contact e siamo molto soddisfatti del lancio di questa funzione», ha dichiarato il portavoce di Facebook. Eppure, in Italia, per ora sembra che pochi abbiano pensato di aderire al servizio. I fantasmi aleggiano così tra computer, tablet e smartphone, pronti a sollecitare le nostre paure, a fomentare le nostre idiosincrasie, ma senza più il sinistro rumore di catene o le urla spaventose degli zombie, bensì in modo più sottile e dunque più subdolo. Recentemente trovo sempre in Linkedin tra «le persone che potrei conoscere» un vecchio giornalista mio amico, Lucio Lami, scomparso 3 anni fa; e su Faceboook mi suggeriscono di fare amicizia con un artista, di cui avrei voluto fare una mostra, morto nel maggio scorso. Sono convinto che tra le mie «amicizie» social su Instagram, Linkedin, Twitter ci siamo già defunti. Certo, esistono le apposite procedure per avvisare i vari social se si incappa in profili di morti (facendoli diventare commemorativi), ma l’operazione da ghostbuster è alquanto macchinosa e dai contorni macabri.
LA PROPRIETÀ
La questione attiene strettamente al cosiddetto «testamento digitale», che è qualcosa di diverso dal poetico «testamento spirituale» o dal più prosaico «testamento materiale», anche se, dei due, sembra una specie di sublimazione. Infatti, da un lato l’identità digitale tende a coincidere tout court con il vissuto spirituale (tutti i nostri ricordi, i nostri pensieri, le nostre visioni), mentre dall’altro, dal punto di vista materiale, può accadere che i beni virtuali siano tangibili o monetariamente concretizzabili. E qualora desiderassimo trapassarli, le cose non sono semplici. Se ne è accorto Bruce Willis, che è stato al centro di un dibattito legale: l’attore, in caso di dipartita, avrebbe voluto lasciare la propria libreria musicale alle figlie, ma non ha potuto, poiché i file di iTunes, teoricamente, sono di proprietà di chi li ha pagati e scaricati, visto che la licenza Apple prevede che le canzoni siano concesse solo in uso attraverso apposita licenza. Più in generale, il tema riguarda i cambiamenti avvenuti nella cultura del cordoglio. I Sepolcri del Foscolo, che ispiravano grandi cose, sono superati e, come spiega Evan Carrol in un classico del genere (Your Digital Afterlife), «assistiamo alla nascita di un nuovo spazio per vivere il lutto», un nuovo modo «per prendersi cura degli avi defunti». O, forse, la realizzazione di una promessa di immortalità visto che la nostra memoria ci sopravvivrà.
ATTENTI AL SESSO
In ogni caso, per quanto riguarda il «testamento digitale», la rete viene in soccorso. Sono nati servizi (genericamente di protezione dati) che rendono possibile gestire i cosiddetti «digital assets», far arrivare a un esecutore testamentario le ultime volontà, le password, le username, i file, le foto, l’accesso ai dischi remoti: PasswordBox con la funzione Legacy Locker, o SecureSafe con Entrustet, che consentono di selezionare i contenuti digitali presenti in rete da inviare ai propri cari e quelli invece da cancellare. Oppure più attinenti: My Last Email (quasi minacciosa), o Testamentor che spedisce ai parenti automaticamente dopo un periodo di silenzio dell’utente tutti i file (audio e video) predisposti in una cartella specifica su Dropbox; o, ancora, Deathswitch che, in caso di decesso, invia ai parenti e ai colleghi un elenco dettagliato dei siti, dei social media e delle password relative; Deatswitch, tra l’altro, verifica con regolarità l’esistenza in vita dei suoi utenti tramite email. Infine la startup Perpetu (co-fondata a Hong Kong da un italiano, Andrea Livotto), che invia un messaggio dal paradiso e prevede il download di tutti i dati privati dei social (Facebook, Twitter, Gmail, Dropbox, Flickr, Linkedin...) e l’inoltro a persona designata. Non è chiaro, invece, che fine facciano gli account sui social relazionali o di incontri sex (extraconiugali, gay o lesbo friendly).
Nell’ipertrofia dei social c’è spazio anche per il business mortuario che non patisce crisi o rallentamenti visto che la produzione di morti non declina neppure in Rete. Il marketing tradizionale si ingegna, per esempio, con l’outlet del funerale, una trovata geniale quasi ci si potesse comprare due cerimonie al costo di una; o con le case funerarie (le cui architetture rivaleggiano con quelle dei moderni musei di arte contemporanea). L’apoteosi è però online: siti che suggeriscono come comporre un telegramma di cordoglio e dai quali possono essere spedite direttamente le condoglianze ai parenti o, se si preferisce, i fiori (funeralflowers.it); ça va sans dire, siti di necrologi (cordolius.com, condoglianzeonline.it), blog dedicati al tema (funerali.org), perfino il cimitero virtuale (inlovingmemory.com).
BUSINESS ETERNO
Il sito annuncifunebri.it è una piattaforma dedicata alle pompe funebri. Locandine, e santini digitali sparsi sui social – assicurano – porteranno centinaia di visite al necrologio informando il pubblico social dei dettagli della cerimonia. Ogni visitatore potrà inoltre scrivere un messaggio, messaggi che saranno poi raccolti in un’elegante pubblicazione in carta d’avorio e consegnati ai congiunti. Ma si provvede anche al foto ritocco professionale dell’immagine del per-sempre-rimpianto, alla costruzione di un sito in memoria ad hoc, all’impostazione grafica delle epigrafi. Rip. Requiescant in pace. A quanto ci è dato sapere, non esistono invece siti per fare gli scongiuri. Peccato.