La Stampa, 21 settembre 2015
Ecco com’è nata l’idea di BlaBlaCar. «Non facciamo che ottimizzare delle risorse esistenti: riempiamo delle macchine vuote». Parla Frederic Mazzella, fondatore della start up delle auto condivise. «Ci finanziamo grazie a piccole commissioni sui viaggi. Funziona: con noi si spostano 10 milioni di persone ogni tre mesi»
È iniziato tutto per caso. Correva il 2003, pochi giorni prima di Natale. «Per le feste dovevo andare a casa dai miei genitori, in Vandea. Ma in treno non c’era più neanche un posto», ricorda Frédéric Mazzella. «Allora mia sorella, che viveva a Rouen, è passata da Parigi e siamo scesi giù assieme in macchina. Sull’autostrada osservavo le auto: erano vuote, c’era solo il conducente. E intanto i treni erano pieni zeppi di persone che, in molti casi, avevano pagato una fortuna per quel biglietto». Così è nata l’idea di BlaBlaCar, specialità francese esportata nel mondo. «In fondo non facciamo che ottimizzare delle risorse esistenti: riempiamo delle macchine vuote». La piattaforma mette in contatto automobilisti con posti liberi a bordo e altre persone che desiderano viaggiare nella stessa direzione. Condivideranno le spese relative a benzina e pedaggio.
Un tragitto Roma-Milano viene a costare una trentina di euro.
Eccolo Frédéric, nella sed della sua società, in piena Parigi. BlaBlaCar ormai è un colosso, con oltre 20 milioni di utenti in 19 paesi (l’Italia dal 2012), compresi i lontani India e Messico. Lui ha 39 anni ma ne dimostra decisamente meno. Un bisnonno era italiano («la famiglia veniva dalle isole di Procida e Ischia ma non ci sono mai stato»). L’atmosfera in questi open space scintillanti è un po’ bambinesca, con le macchinine sui tavoli e l’inevitabile biliardino di ogni start-up che si rispetti. Ma c’è poco da scherzare: la società è valorizzata 1,6 miliardi di dollari. E venerdì l’ultimo colpo di scena: 200 milioni di dollari raccolti mediante fundraising, grazie a due grossi fondi di investimento americani, Insight Venture Partners e Lead Edge Capital.
Cosa farete di questi soldi?
«Serviranno a sbarcare in nuovi paesi: stiamo già lavorando sul Brasile. E a consolidarci dove già siamo, anche in Italia, che è uno dei nostri principali mercati».
Dopo quel «lontano» Natale 2003, il servizio è decollato in Francia solo nel 2006. È stato difficile agli inizi?
«Ho dovuto passare per sette banche prima che una accettasse di aprire un conto per l’azienda. Parlavo di start-up e non si fidavano. Mi chiedevano gli ultimi tre bilanci: ma noi stavamo appena iniziando. Poi tutti mi dicevano: non funzionerà mai, la gente è individualista. Agli inizi me lo ripetevano anche in Italia. Invece ha funzionato, eccome».
Lei ha studiato a Stanford tre anni, nel cuore della Silicon Valley. Lì è diverso?
«Diciamo che negli Stati Uniti la novità è subito attraente, in Europa rappresenta prima di tutto un rischio».
Chi utilizza oggi BlaBlaCar ? Solo studenti squattrinati?
«Non è vero, proprio da un sondaggio realizzato in Italia è emerso che il 71% degli utenti ha un lavoro».
Al momento di iscriversi al servizio, bisogna indicare il livello di loquacità (bla, blabla, blablabla). Gli italiani sono i più chiaccheroni?
«Lo pensavamo anche noi. Poi abbiamo fatto un’inchiesta in tutti i paesi dove siamo presenti. E sono arrivati primi i polacchi».
BlaBlaCar non è l’unica buona idea di economia collaborativa nata in Francia, dove, fra le altre cose, furoreggiava anche UberPop, prima che i tassisti parigini iniziassero a spaccare le macchine e in certi casi le facce dei conducenti del nuovo servizio...
«Nel loro caso si trattava di persone che non erano tassisti professionisti e che svolgevano quell’attività. Noi facciamo solo condivisione delle spese. Ci finanziamo prelevando una debole commissione».
È vero che da giovane era un «genietto» della matematica?
«Vivevo in provincia. Mio padre era professore di matematica, oggi in pensione. A casa bisognava sapere far di conto e bene. Nella mia vita non c’erano solo i numeri ma anche il pianoforte. Sono venuto a Parigi già durante il liceo per studiare musica».
Poi ha superato l’esame di ammissione a Fisica alla Normale di Parigi, che in Francia non è poca cosa. Chi esce di lì in genere diventa professore universitario. O va a lavorare in una grossa impresa. Perché un destino così diverso per lei?
«Io dopo mi sono anche laureato in Informatica a Stanford, dove gli studenti più brillanti abbandonavano gli studi per fondare start-up o erano assunti da Google. Lì mi si aprì un altro mondo».
Vaga sui confini di mondi diversi...
«C’è una coerenza che accomuna musica e matematica. E pure una certa logica e la creatività. Quanto alla matematica e alla fisica mi aiutano nel business, affinché il lato emotivo, che può risultare invadente, non influenzi troppo le mie decisioni».
È vero che lei usa spesso BlaBlaCar in incognito per verificare se il servizio funziona davvero?
«Sì, anche se ormai mi riconoscono quasi sempre».
Il suo grado di loquacità?
«Dichiaro un blabla».
P.S. Ma i suoi compagni di viaggio non hanno dubbi: Frédéric è un blablabla.