il Fatto Quotidiano, 21 settembre 2015
«Scriveva Elsa Morante: “I miei personaggi mi vengono a visitare”. Ecco, per me è uguale. Mi visitano, si raccontano, si vestono…». Intervista a Monica Guerritore che da ultimo ha interpretato una madre uxoricida nella serie tv “Non uccidere” in onda ogni venerdì su Rai3 e una donna progressista che reagisce furiosamente quando deve rimettere in discussione i suoi privilegi nel film “La bella gente” di Ivano De Matteo. «Il nostro mestiere è fondamentale, a patto che sia libero: dalle mode, dalla pigrizia mentale, dalla cattura dei canoni estetici, dobbiamo guardare con occhio limpido ciò che siamo»
È il personaggio di una misteriosa madre uxoricida nella serie tv di Giuseppe Gagliardi Non uccidere in onda ogni venerdì su Rai3 e quello di una donna progressista e altruista che reagisce furiosamente quando deve rimettere in discussione i suoi privilegi nel film La bella gente di Ivano De Matteo. Attraverso di loro in questi giorni Monica Guerritore conferma il suo talento versatile cementato in un’intensa carriera iniziata nel 1974, quando debuttò a soli sedici anni ne Il giardino dei ciliegi di Giorgio Strehler.
Chi è la Lucia Ferro che interpreta in Non uccidere?
È la madre della protagonista, Valeria, commissario presso la Sezione omicidi della Mobile di Torino (Miriam Leone, bravissima) e ha la funzione di motore emotivo nel racconto elaborato da Claudio Corbucci che ho trovato innovativo, ambiguo e misterioso. Lucia esce dal carcere dove è rimasta 17 anni con l’accusa di avere ucciso suo marito. Valeria da allora l’ha come cancellata dal proprio cuore, ma non ha mai smesso di cercare ossessivamente la verità, con una rabbia e una freddezza che riversa anche nei casi da risolvere. È vittima di questa madre che le ha eliminato la figura maschile di riferimento e le ha tolto ogni possibilità affettiva e guardarla di nuovo negli occhi quando ritorna in libertà le farà capire che la ferita non ha mai smesso di sanguinare. Il suo dolore sarà reso ancora più forte e frustrante dal silenzio in cui Lucia si rifugia restando fredda e lucida, senza lasciare trasparire nulla. Diventa quasi impossibile capire se la sua carcerazione sia stata giustificata o meno.
Come ha costruito questo ruolo?
Ogni personaggio è una sorta di fantasma, a me tocca dargli materia. Lucia non sono io ma ha avuto per me il fascino dei grandi caratteri shakespeariani che hanno al loro interno un magma e una potenza enorme. La sua grandezza è nel suo stesso mistero, nutrito da una vita passata. È nella sua assenza, nel suo non raccontarsi, la sua forza espressiva. Disegnare un personaggio senza trama (perché la nasconde) è molto difficile e intrigante, questa donna è interessante perché tiene legato lo spettatore con un solo pensiero interiore, la sua storia è dentro di lei e invece di mostrare e rivelare qui tutto per lei è velato. Un attore ha tante frecce al suo arco si può interpretare un personaggio regalandogli i colori dell’energia, bellezza, sorriso, sensualità oppure dolore, tensione, freddezza, cattiveria… bisogna saper scegliere il punto di vista. A Lucia ho consegnato i miei tratti, però segnati dal tempo passato in solitudine e dal segreto che custodisce. Ho cercato anche la pesantezza di un corpo rimasto fermo per 17 anni in un carcere, senza avere paura di mostrare un viso segnato o di apparire in abiti austeri e dimessi, trovo in tutto questo una notevole componente di bellezza, è lì che sta l’eventuale bravura, non nel pronunciare le battute.
Che cosa la fa aderire ad un progetto?
Mi preparo moltissimo. Fisicamente. E parlo proprio di forza fisica se lo spettacolo è teatrale. Sul set invece è prevalentemente immaginario. Scriveva Elsa Morante: “I miei personaggi mi vengono a visitare”. Ecco, per me è uguale. Mi visitano, si raccontano, si vestono… ecco perché a volte discuto con i costumisti o i registi: il fantasma è mio l’ho creato io e io so come vuole essere rappresentato. E se non gli piace un cappello io lo butto via. L’interprete è il mezzo per raccontarsi. Il nostro mestiere è fondamentale, a patto che sia libero: dalle mode, dalla pigrizia mentale, dalla cattura dei canoni estetici, dobbiamo guardare con occhio limpido ciò che siamo. Penso a Susanna, la mia protagonista della Bella gente: non avere paura, non voltare la testa dall’altra parte quando si percepiscono le proprie inadeguatezze. Credo che per interpretarla il mio maggior merito sia stato guardare in faccia quello che noi percepiamo solo con la coda dell’occhio: l’omicidio delle nostre buone intenzioni.
Girato nel 2009 e uscito con successo solo un mese fa dopo complesse vicende di distribuzione il film di Ivano De Matteo era stato molto apprezzato in Francia e Le Monde aveva definito “immensa” la sua interpretazione. Può ricordare cosa racconta?
La storia è quella di due borghesi benestanti e progressisti (io e Antonio Catania) che trascorrono un weekend in campagna, in compagnia del figlio. Vedendo per strada una prostituta dell’Est picchiata e umiliata dal suo protettore, la donna, che lavora come psicologa, decide di offrirle rifugio e riscatto portandola con sé in casa, dove però, quando la ragazza comincia a prendersi i suoi spazi e a esprimere la sua personalità provoca fastidio e turbamento: gli equilibri a poco a poco salteranno, coinvolgendo tutti i componenti della famiglia che dovranno fare i conti con l’incapacità di dare fino in fondo.
Ha mai pensato di poter essere un esempio col suo percorso artistico e personale?
Le mie decisioni sono sempre state in qualche modo anarchiche (ho fatto teatro ma anche un cinema forte e sensuale lavorando sul corpo senza nasconderlo), ho preferito una strada diversa, non mi espongo in tv, vivo in modo riservato: sono le scelte che una persona compie a farla diventare un’alternativa possibile per chi pensa di fare questo lavoro, non c’è solo una strada, ce n’è un’altra più faticosa, meno soddisfacente da un punto di vista del glamour ma più creativa, di studio e di crescita. È un altro modo di essere donna: il fatto di non ricorrere alla chirurgia estetica, il cercare di vivere in maniera più raccolta dentro le cose invece che esteriormente rappresenta un percorso che ho guadagnato nel tempo: non sono nata così, sono nata sbandando e ho continuato a farlo come tutti i giovani che cominciano una carriera, poi ho dato una sterzata alla mia vita e ho cercato di studiare per diventare una buona interprete e acquistare sicurezza.
Come vede il momento artistico attuale in Italia ?
Ultimamente ha preso vita un bel “melting pot”, diventa tutto più propositivo, il successo del film La bella gente penso si debba forse in parte alla stima arrivatami grazie al teatro che frequento tutti i giorni per mesi, c’è uno scambio di pubblico che prima era fermo. È importante sottolineare che le lunghe serialità si girano molto rapidamente e hanno bisogno di interpreti capaci, non ci si può più affidare a “facce e faccette”, il mestiere comincia a prendere piede. Penso a Non uccidere di cui abbiamo girato ben 12 episodi in soli 4 mesi perché Giuseppe Gagliardi – di cui avevo apprezzato molto la serie Sky 1992 – e la produzione hanno puntato su attori validi. L’espressione artistica è frutto di studio e di lavoro serio, gli estemporanei durano un momento solo: Van Gogh era un professionista che dipingeva a tutti i giorni.
Dopo aver portato in scena ultimamente prima Giovanna d’Arco e poi Oriana Fallaci che cosa reciterà in teatro?
Proseguirò su quella linea ideale con Qualcosa rimane, di Donald Margulies (Premio Pulitzer 2000) che mostra lo scontro generazionale tra una scrittrice di talento e fama (Ruth Steiner, il mio personaggio) e una giovane scrittrice affamata di tutto (Lisa Morrison, interpretata da Alice Spisa). La donna ha un vissuto misterioso, che rivelerà alla sua allieva diventata sua amante: la sua relazione, quando era una giovanissima aspirante scrittrice, con Delmore Schwartz, poeta, filosofo, scrittore, mentore di Lou Reed alla Syracuse University. Saremo in scena a partire da gennaio ma intanto aspetto sempre che a teatro mi chiami Bob Wilson e al cinema Tornatore o Garrone..”.