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 2015  settembre 20 Domenica calendario

Il Papa, partito ieri mattina alle 11, è arrivato ieri sera alle dieci a Cuba. L’agenda è fittissima: incontri con Raúl Castro, messe nelle varie piazze della Revolución, poi il trasferimento negli Stati Uniti, l’incontro con Obama, la visita al Congresso (il Parlamento Usa) dove finora nessun pontefice è mai entrato, l’appuntamento all’Assemblea generale dell’Onu e poi quello con i vescovi americani

Il Papa, partito ieri mattina alle 11, è arrivato ieri sera alle dieci a Cuba. L’agenda è fittissima: incontri con Raúl Castro, messe nelle varie piazze della Revolución, poi il trasferimento negli Stati Uniti, l’incontro con Obama, la visita al Congresso (il Parlamento Usa) dove finora nessun pontefice è mai entrato, l’appuntamento all’Assemblea generale dell’Onu e poi quello con i vescovi americani. Temi sul tappeto: i migranti, la libertà religiosa, i poveri, il clima, la Siria, il possibile avvicinamento tra Stati Uniti e Russia grazie anche alla mediazione vaticana, che fu già così efficace nel caso di Cuba. Chiusura domenica prossima a Filadelfia per l’Incontro mondiale con le famiglie, evento preparatorio del Sinodo sulla famiglia che si terrà in ottobre.

Prima di parlare dei significati del viaggio farei un po’ di cronaca.
La cronaca deve partire da ieri. Prima di salire sull’aereo, Francesco ha registrato un videocollegamento destinato ai giovani delle “scholas occurrentes”, o “scuole del dialogo”, diffuse in 15 Paesi e promosse dalla Pontificia Accademia delle scienze. Il primo atto fondativo di queste scuole fu a Buenos Aires: la mattina del 29 marzo 2000 l’arcivescovo Bergoglio si presentò ai fedeli sulla plaza de Mayo impugnando una pala. Scavò una buca e piantò un ulivo, naturalmete l’“ulivo della pace”. Ieri, una cerimonia quasi uguale: davanti alle telecamere ha piantato un nocciolo d’ulivo e vicino al nocciolo, nella terra, ha infilato anche un proiettile cavato di tasca all’improvviso e regalatogli - ha spiegato - da «un ragazzo che vive in un paese in guerra». Intanto ha predicato: «Bisogna costruire ponti affinché ci sia un’amicizia sociale», frase che gli esperti hanno subito decrittato: «È necessario che gli americani tolgano l’embargo a Cuba». E in effetti, come ha anticipato il “New York Times”, pezzi di embargo salteranno già domani, specialmente nel settore dei conti correnti e delle rimesse bancarie, il che dovrebbe rendere facile per le imprese americane aprire filiali a Cuba e far girare finalmente un po’ di soldi.  

Poi c’è la messa di oggi sotto gli occhi del Che.
Sì, all’Avana in Plaza de la Revolución. Palco giallo, tettoia bianca, sedia in legno scuro e velluto rosso, croce e ritratto di Che Guevara stilizzati. Tutto questo insieme a una caterva di simboli rivoluzionari, la musica di Hasta la Victoria Siempre
, il monumento a José Martí, ecc. Raúl Castro spera che Francesco, nel suo discorso, salvi qualcosa della rivoluzione, dica o faccia capire almeno che le intenzioni erano buone. I poveri, il capitalismo eccetera. Lo striscione piazzato sopra al Teatro mostrerà il Papa che lava i piedi ai dimenticati e la scritta “Misionero de la Misericordia”. La parola “Misericordia” domina questo viaggio ed è la chiave del prossimo Giubileo. Ma c’è un “ma”: Bergoglio è stato decisivo per il riavvicinamento tra Cuba e Stati Uniti, pesa fortemente anche sulla decisione di togliere le sanzioni, ma un successo troppo forte a Cuba sarebbe alla fine imbarazzante. Il regime è ateo, ha perseguitato i cattolici, ha permesso che sull’isola crescessero, in concorrenza con l’insegnamento cattolico, sètte dedite alla magia e al sovrannaturale pagano. Quindi il regime ha stabilito che per assistere alla messa di oggi si debba ritirare un biglietto e il prezzo da pagare per questo biglietto è il proprio nome e cognome. In pratica, una schedatura di massa. Per questo parecchi cubani se ne staranno a casa e guarderanno l’evento in tv. Non ci saranno più di 150-200 mila persone che a questi livelli non è molto.  

Poi ci sono gli Stati Uniti.
I giornali scrivono con un certo entusiasmo che le organizzazioni di gay e lesbiche saranno presenti mercoledì prossimo sul South Lawn (il parco) della Casa Bianca per la cerimonia col Papa, ma questa, a dire il vero, è un’iniziativa tutta americana che il Vaticano non ha gradito affatto, come ha rivelato il “Washington Post”. La lista di queste persone sgradite, ma presenti, è piuttosto impressionante: Mateo Williamson, attivista gay, ex direttore dell’associazione Dignity Usa, Gene Robinson, il primo vescovo episcopaliano gay, già sposato con un uomo, suor Simone Campbell, leader delle monache Usa da anni in conflitto con Roma su aborto, contraccettivi e quant’altro.  

Che senso ha uno sgarbo simile?
Obama è pronto ad esaltare il Papa come leader spirituale, vuole depotenziarne, invece, la leadership politica. Soprattutto per questioni interne: l’ultima tendenza è quella di interpretare la “libertà religiosa” apparentemente garantita dal sistema, come “libertà di culto” e non più di questo.  

Non capisco la differenza.
Ti dànno la libertà di andare a messa, per esempio, ma non quella di rifiutarti di praticare un aborto, se sei medico e vuoi obbedire alla coscienza piuttosto che alle leggi dello Stato. Sono conflitti antichi che ciclicamente ritornano.