La Repubblica, 18 settembre 2015
La marcia di Anna Finocchiaro contro il suo passato: «Meglio una legge imperfetta che nessuna legge. Se salta tutto, allora sì che vince l’antipolitica». Ormai viene additata dai vecchi compagni come una nuova conquista del renzismo, D’Alema le ha dato della traditrice, ma lei non si scompone e va avanti: «Le sento anch’io le critiche, le maldicenze, i sospetti. Ma preferisco tacere. Non farei che alimentarli. Sopporto con cristiana virtù»
Anna Finocchiaro racconta agli amici che Massimo D’Alema la chiama spesso. Discutono, litigano, non si capiscono più. «Una volta mi ha dato della traditrice». Ma lei non si scompone. «Ho la coscienza a posto. Credo a questa riforma e non avrò nulla in cambio da Renzi. Meglio una legge imperfetta che nessuna legge. Se salta tutto, allora sì che vince l’antipolitica». Senza paura, Finocchiaro marcia contro il suo passato, additata dai vecchi compagni come una nuova conquista del renzismo, la dirigente che ha rinnegato se stessa e la sinistra. Lo fanno sottovoce, però, mentre la presidente della commissione Affari costituzionali attraversa i corridoi di Palazzo Madama elegantissima, la borsa nella mano, un foulard con i coralli rossi su sfondo azzurro appoggiato sul collo.La Finocchiaro incute un certo rispetto. Difficile contestarne la competenza, l’esperienza, il lavoro, la moderazione dei toni e dei comportamenti. Una donna delle istituzioni. Quasi 30 anni in Parlamento, metà della sua vita, senza mai finire nelle risse della Prima e della Seconda repubblica. «Le sento anch’io le critiche, le maldicenze, i sospetti. Ma preferisco tacere. Non farei che alimentarli. Sopporto con cristiana virtù».L’unico scivolone fu la famosa foto dell’Ikea: la scorta che le spinge il carrello pieno di mobili fai da te e lei con le mani libere. Quello scatto, si disse, diventò il più efficace manifesto per l’antipolitica. A dirlo con maggiore forza e con una dose massiccia di veleno fu proprio Matteo Renzi quando doveva fermare la corsa al Quirinale dei candidati del Pd. «Sarebbe bello un presidente donna – scandì il sindaco di Firenze –, ma leggo nomi sui giornali che sono improbabili: Finocchiaro la ricordiamo per la splendida spesa all’Ikea con il carrello umano. Servono personaggi anti- casta». Lei reagì abbandonando il proverbiale autocontrollo: «Mai sentita tanta volgarità in vita mia. Renzi ha usato parole miserabili».Cosa è cambiato, allora, dalla difficilissima primavera del 2013, quella senza governo e senza nuovo capo dello Stato? Finocchiaro risponde: «Nulla». Non è diventata renziana. «Ho sempre detto quello che pensavo, anche quando ho molto criticato la riforma del Senato». In effetti, al momento del varo del disegno di legge, l’ex ministro delle Pari opportunità si prese qualche giorno per leggerlo. Poi, sentenziò: «Se non lo cambiamo, il Senato verrà trasformato in un dopolavoro». Invece di mettersi di traverso, la Finocchiaro, d’intesa con Giorgio Napolitano allora presidente della Repubblica, cominciò a riscrivere il testo articolo per articolo. Per questo oggi lo difende, spiega: lo sente un po’ suo, come se ci fosse anche la firma Finocchiaro oltre a quella del ministro Maria Elena Boschi. Non le si può chiedere di sconfessare una riforma che ha contribuito a far maturare.Lei, infatti, la difende. In commissione, in aula, nei colloqui privati, nella conferenza dei capigruppo dove si è scontrata con Piero Grasso, in punta di fioretto come si coinviene a due siciliani. Ha preso sotto la sua ala il ministro Boschi. «Mi è scattato il maternage», ha confidato per dire che c’entra un po’ l’istinto materno pur avendo lei due figlie tirate su soprattutto dal marito, lontano da Roma, a Catania. La mamma compensa al telefono anche adesso che sono grandi e la chiamano per cercare un albergo. Lei si mette al cellulare, naviga su Tripadvisor e scuote la testa: «Ti pare che devo cercarle io la stanza. Sono grandi ormai».Nel Palazzo il suo consenso è trasversale. Di lei il capogruppo del Pd Luigi Zanda dice entusiasta: «Una vera, autentica, leale democratica. Come Anna ce ne sono pochi di parlamentari». Roberto Calderoli la stima. Forza Italia non l’attacca mai. L’ha fatto l’altro ieri Maurizio Gasparri ma riempiendola di complimenti. E non è nello stile di Gasparri. Semmai il consenso fuori dal Palazzo non è mai stato il suo forte. La prova si è avuta alle regionali siciliane del 2008. Raffaele Lombardo la stracciò doppiandola: 65 per cento a 30. Ma la Finocchiaro sembra sapere che il suo posto è nelle istituzioni, non nelle piazze. Non a caso a Renzi, nel 2013, rispose citando al’articolo 54 della Costituzione. «Ho sempre servito la politica con disciplina e onore». Un articolo che la riforma non tocca.