Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  settembre 16 Mercoledì calendario

Generazione smartphone, sette bambini su dieci tra i 9 e i 12 anni navigano con il telefonino, un su quattro degli 11-12enni mente sulla propria età per stare su Facebook e i 15-17enni sono i meno prudenti tanto che uno su cinque ha aggiunto ai propri contatti profili di persone mai incontrate nella vita reale. Il risultato è che nove intervistati su cento hanno raccontato di essere stati vittima di cyberbullismo e la stessa proporzione riguarda quelli, tra i 9 e i 17 anni, che hanno ricevuto messaggi con contenuto sessuale. Lo rivela uno studio commissionato da Tim, curato dalla ricercatrice dell’Università Cattolica di Milano Giovanna Mascheroni

Sempre più connessi e sempre più piccoli sui social network. Soprattutto: sempre più esposti a cyberbulli e web-odiatori. Poco o per nulla accompagnati da genitori e insegnanti. E comunque alla costante ricerca di «isole digitali» dove poter interagire in sicurezza. È questa la fotografia della «Generazione smartphone» in Italia che emerge da uno studio commissionato da Tim, curato dalla ricercatrice dell’Università Cattolica di Milano Giovanna Mascheroni e che sarà presentato oggi a Roma in un incontro con il Family Online Safety Institute, organizzazione internazionale che lavora per rendere il mondo online più sicuro per bambini e famiglie.
Scrive il dossier che per i giovanissimi tra 9 e 17 anni i telefonini sono il dispositivo principale per accedere alla Rete: oltre otto su dieci navigano su Internet e comunicano con gli altri dallo smartphone.
L’indagine, poi, scopre che più di sette intervistati su dieci – tra quelli che hanno dai 9 ai 12 anni – non solo navigano, ma hanno pure un profilo sui social network (soprattutto Facebook) e un account sulle app di messaggistica istantanea come WhatsApp. Piccolo particolare: per iscriversi a Facebook bisogna avere almeno tredici anni. Età minima che sale a sedici – «salvo il consenso dei genitori» – per poter utilizzare WhatsApp. Questo vuol dire che uno su cinque (compresi i non connessi) tra chi ha 9-10 anni e uno su quattro tra gli 11-12enni mente sulla propria età quando si registra sul social network di Mark Zuckerberg.
Quanto ai risvolti negativi i maschi in generale – e i 15-17enni – sono i meno prudenti tanto che uno su cinque ha aggiunto ai propri contatti profili di persone mai incontrate nella vita reale. Nove intervistati su cento – scrive ancora la ricerca – hanno raccontato di essere stati vittima di cyberbullismo e la stessa proporzione riguarda quelli, tra i 9 e i 17 anni, che hanno ricevuto messaggi con contenuto sessuale.
Testi che vengono ricevuti pure su WhatsApp, nonostante venga considerata dai giovanissimi la piattaforma più sicura per interagire. Il perché è presto detto: per scrivere agli altri bisogna avere il numero di telefono. «Ma quando si finisce nei gruppi di conversazione arrivano i problemi: diverse ragazze, per esempio, hanno raccontato di essere state vittime di sexting da parte di persone che hanno avuto il numero di cellulare grazie ai gruppi», spiega la curatrice Giovanna Mascheroni, ricercatrice in Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi.
«Il dossier ci dice che sono in crescita alcuni tipi di rischi: il bullismo digitale e l’esposizione ai contenuti negativi generati da altri utenti», sintetizza Mascheroni. E questo «non solo perché più ragazzini accedono alla Rete, ma anche perché aumenta lo “hate speech”, l’incitamento all’odio, che sembra essere soprattutto il riflesso di quello che succede offline, nel mondo reale». Insomma, siamo pure più cattivi.
Per aumentare la sicurezza online Stephen Balkam, amministratore delegato del Family Online Safety Institute, invita alla creazione di un «progetto nazionale» che però ha bisogno di «un approccio coordinato tra governo, rappresentanti dell’industria, ong, genitori e scuole».
«Per questo dobbiamo lavorare non solo sui parametri economici delle nostre tecnologie ma anche sugli impatti sociali», ragiona Marcella Logli direttore Corporate Shared Value di Telecom Italia. Logli ritiene positiva l’adozione degli smartphone da parte dei ragazzi – perché «aumenta il tasso di digitalizzazione del Paese» —, ma pensa che sugli aspetti educativi ci sia ancora strada da fare, soprattutto perché «due attori fondamentali – scuola e famiglia – sono un po’ indietro». Un esempio? «Sugli smartphone i genitori possono impostare il “parental control”: ma sono in pochissimi a farlo».