Corriere della Sera, 15 settembre 2015
Ecco perché Grillo non finirà in galera. L’analisi del processo a Grillo, tra sospensioni, revoche, condanne e assoluzioni, l’intricato puzzle di norme lo porterà al massimo agli arresti domiciliari, come previsto per le pene sotto i 18 mesi. Per cui se vuole finire in prigione, come Pertini o Mandela, dovrà evadere da casa. Storia di una fantacronaca giudiziaria
«Se Pertini e Mandela sono finiti in prigione, potrò andarci anch’io per una causa che sento giusta», annuncia dal suo blog Beppe Grillo dopo la condanna ieri in primo grado ad Ascoli a 12 mesi di reclusione per diffamazione di un professore in un comizio del 2011 contro il nucleare. Ma per quanto il leader del Movimento 5 Stelle possa voler portare alle estreme conseguenze la sentenza, allo scopo di farne risaltare l’ingiustizia che vi ravvisa, in concreto il carcere come prospettiva non esiste, nemmeno se la pena dovesse essergli confermata nei prossimi anni prima in Appello e poi definitivamente in Cassazione.
L’intricato puzzle di queste norme è complicato dal fatto che, in una riga del dispositivo, ieri la giudice non solo non concede la sospensione della pena (beneficio contemplato sotto i 2 anni a condizione che l’imputato non ricommetta reati nei prossimi 5 anni), ma ordina anche la revoca di un’analoga sospensione condizionale della quale Grillo aveva già goduto. Quando? Non quando patteggiò nel 2003 (a pena convertita in 6.000 euro di sanzione pecuniaria) la diffamazione della senatrice a vita Rita Levi Montalcini, ma nel 1988 quando divenne definitiva la condanna a 14 mesi per l’omicidio colposo di due suoi amici e del loro bambino in un incidente stradale del 1981, per il quale Grillo era stato assolto in Tribunale ma condannato in Appello. L’esattezza della revoca di questa sospensione condizionale appare però dubbia, visto che dal 1988 al 2011 sono trascorsi ben più di 5 anni. Non solo: persino con la revoca della sospensione condizionale, quei 14 mesi di pena «rivivrebbero» ma nel contempo subito dovrebbero essere dichiarati coperti dall’indulto delle pene sotto i 2 anni nel 2006.
Sempre dunque in chiave di fantacronaca giudiziaria, ove confermati anche in Appello e Cassazione, a Grillo resterebbero da scontare solo i 12 mesi della diffamazione di ieri in Tribunale ad Ascoli. Ma Grillo non li sconterebbe in cella nemmeno se per ragioni di disobbedienza civile scegliesse di non chiedere alcuna delle misure alternative al carcere alle quali hanno diritto i condannati a pene sotto i 3 anni, come ad esempio l’«affidamento in prova ai servizi sociali».
Senza istanza di Grillo, infatti, si creerebbe la stessa situazione nel 2012 dell’ex direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti: prima i pm (sul modello inaugurato allora a Milano dal procuratore Edmondo Bruti Liberati proprio dopo la condanna di Sallusti per diffamazione) e poi i giudici di Sorveglianza potrebbero ugualmente disporre d’ufficio, cioè anche senza richiesta di Grillo, che egli sconti la pena non in carcere ma in «detenzione domiciliare» come previsto dalla legge 199 del 2010 per pene sotto i 18 mesi. E a quel punto, per assurdo, se Grillo volesse a tutti i costi finire in prigione, non gli resterebbe che scegliere di evadere da casa. Ma forse neanche questo basterebbe: non bastò a Sallusti, che nel processo per evasione fu poi assolto.