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 2015  settembre 15 Martedì calendario

Dare giudizi assoluti, il nuovo sport letterario. Paolo Di Stefano: «Mi sono chiesto su che basi, con tutto il beneficio delle semplificazioni giornalistiche, sia possibile definire uno scrittore “il più grande scrittore contemporaneo”: avrei semmai capito “grandissimo”, ma proprio “il più grande”…»


Un amico che non sono autorizzato a citare con nome e cognome, dopo aver letto le anticipazioni del nuovo romanzo di Jonathan Franzen, Purity, mi ha scritto che gli sembra un Baricco riuscito. Era ovviamente un giudizio negativo sull’uno e sull’altro. L’ho presa come una battuta e ci ho sorriso sopra, anche perché non mi pare che Baricco e Franzen siano in alcun modo paragonabili, almeno sul piano letterario. Poi ho visto la copertina del mensile del Sole 24 Ore, IL, dove campeggiava la foto dell’autore delle Correzioni (occhiale nero, barba incolta), con un titolo inequivocabile: «Il più grande scrittore contemporaneo». E mi sono chiesto su che basi, con tutto il beneficio delle semplificazioni giornalistiche, sia possibile definire uno scrittore «il più grande scrittore contemporaneo»: avrei semmai capito «grandissimo», ma proprio «il più grande»… 

Si applica alla letteratura quel che non si applicherebbe a null’altro se non allo sport: se il Barcellona si aggiudica la Coppa Campioni, si può dire ragionevolmente che si tratta del club più forte d’Europa. Se in quella squadra c’è Messi, che segna e fa segnare più di altri, si può dire che è lui (forse con Ronaldo) il giocatore più forte del mondo. E di Federer, per il tennis, si può dire qualcosa di simile, con qualche cautela però. 
Ma gli scrittori? Chi decide che Franzen è il Federer della letteratura contemporanea al punto da dichiararlo ai quattro venti senza dubbi? Un articolo del bravo Francesco Pacifico, all’interno di IL, insinua più dubbi che certezze: per esempio parlando dei dialoghi di Purity. In effetti, di fronte a certi dialoghi del primo capitolo si rimane storditi dalla noia e increduli per alcuni giri sintattici piuttosto improbabili. È questo «il più grande scrittore contemporaneo»? Boh, mah, forse, chissà… E perché non Philip Roth o Don Delillo? E Vargas Llosa? E Alice Munro? E Carrère? E Ellroy? E Murakami? E Amos Oz e Grossman sono forse meno grandi e/o meno contemporanei di Franzen? 
L’impressione, sgradevole, è che con la letteratura (tramontato il tempo del cauteloso giudizio critico) ci si permetta di tutto: da una parte le si vorrebbe imporre un trattamento di marketing analogo a quello dei prodotti merceologici; d’altro lato ci si concede con i romanzi una sfrontatezza che non sarebbe mai riservata alle caffettiere. Ve la immaginate una pagina (o due) su tutti i giornali con i dati di vendita settimanali dei cellulari e poi magari qualche copertina in cui il signor X o il signor Y venga definito il miglior imprenditore di telefonia contemporaneo?