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 2015  settembre 14 Lunedì calendario

Quattro test elettorali per le ricette europee del rigore. Grecia al voto domenica, poi il 4 ottobre il Portogallo, il 25 ottobre la Polonia e a fine anno la Spagna. I primi tre Paesi hanno infatti sperimentato la cura della Troika: un piano di salvataggio vero e proprio per la Grecia e il Portogallo, limitato per la Spagna al sistema bancario. La Polonia, invece, non è nell’euro, ma il dibattito sull’adesione è acceso

Le lunghe file ai bancomat in Grecia, effetto collaterale del braccio di ferro con Bruxelles, fino alla firma del terzo pacchetto di aiuti. Oppure la crescita delle disuguaglianze e il welfare ridotto ai minimi termini, costo sociale delle ricette del rigore. Sarà questo il dilemma da sciogliere per gli elettori di quattro Paesi europei che di qui a fine anno si recheranno alle urne: il 20 settembre toccherà alla Grecia, il 4 ottobre al Portogallo, il 25 ottobre alla Polonia e a fine anno (la data non è ancora stata fissata) alla Spagna.
«La politica economica, di solito, è uno degli ingredienti fondamentali delle campagne elettorali – spiega Vincenzo Scarpetta, policy analist del think tank Open Europe -, ma questa volta andrà in scena un test per le politiche di austerity nella Ue nel caso di Atene, Lisbona e Madrid e sarà una sorta di referendum sull’adesione alla moneta unica per Varsavia».
Le prime tre hanno infatti sperimentato la cura della troika: un piano di salvataggio vero e proprio per la Grecia e il Portogallo, limitato per la Spagna al sistema bancario. La Polonia, invece, non è nell’euro, ma il dibattito sull’adesione è acceso. Al di là della politica interna il risultato delle quattro elezioni è destinato a influenzare gli equilibri al Consiglio Ue.
Per la terza volta quest’anno gli occhi saranno nuovamente puntati su Atene dopo le dimissioni di Alexis Tsipras all’indomani dell’accordo sul nuovo paracadute da 86 miliardi. I giochi sono aperti: il suo partito, Syriza, che a gennaio ha sfiorato la maggioranza assoluta con circa il 37% dei voti, ha registrato un calo dei consensi e solo negli ultimi giorni i sondaggi lo danno nuovamente in vantaggio sui conservatori di Nuova Democrazia, guidati ad interim da Evangelos Meimarakis dopo le dimissioni del leader Antonis Samaras. Il risultato elettorale appare ancora incerto e potrebbe portare a un governo di coalizione, con l’ago della bilancia rappresentato dai socialisti del Pasok e dai centristi di To-Potami. Il tempo stringe, perché a ottobre è in calendario la prima verifica del programma di riforme previsto dal piano di aiuti.
«Per le istituzioni Ue – spiega Scarpetta – il nome dell’uno o dell’altro vincitore cambia poco: ciò che importa è che ci sia un interlocutore stabile. Non credo però che sia a rischio il rispetto del piano e i margini per rinegoziarlo sono molto stretti».
L’onda lunga
L’eco dell’esito elettorale greco si farà sentire anche a Lisbona e Madrid. Il Portogallo vota per la prima volta dal pacchetto di aiuti Ue-Bce-Fmi del 2011, concluso nell’estate 2014. Oltre ai numerosi scandali di corruzione, il tema centrale è il dibattito sull’efficacia della ricetta. Una cura da 78 miliardi, con aumenti delle tasse, privatizzazioni e spending review che ha consentito di vedere la luce in fondo al tunnel con un Pil in risalita allo 0,9% nel 2014 e stimato all’1,7% per quest’anno e una disoccupazione in discesa, seppure a livelli ancora elevati. Un trend che ha persino suscitato gli apprezzamenti del ministro delle Finanza tedesco Wolfgang Schäuble.
Gli elettori dovranno votare i 230 membri del Parlamento, scegliendo tra due principali sfidanti: il premier in carica, Pedro Passos Coehlo, a capo di una coalizione di centro-destra, e l’ex sindaco di Lisbona, Antonio Costa, leader dei socialisti. «Vogliamo costruire qualcosa di positivo sulla base di quanto abbiamo già raggiunto o ritornare al tempo dei debiti e dell’incertezza?», chiede il primo, mentre il secondo risponde che il piano di salvataggio ha portato «soltanto povertà». Lo stesso Costa, che aveva salutato il successo di Syriza a gennaio, ha ammorbidito i toni quest’estate, spiegando che il Portogallo onorerà gli impegni presi.
«Una vittoria del candidato socialista – afferma Scapetta – andrebbe a ingrandire le fila dei Paesi, tra cui l’Italia, che chiedono una maggiore flessibilità».
A Madrid la prova generale del voto si terrà il 27 settembre con la consultazione in Catalogna che preme per l’indipendenza. Una vittoria del partito del “sì” potrebbe indebolire il premier Mariano Rajoy, per il quale la performance dell’economia è diventata il più grande spot elettorale: il Pil è cresciuto dell’1,4% nel 2014 e secondo il Fmi correrà del 3,1% quest’anno, mentre la disoccupazione resta elevata ma ha imboccato la via della discesa. La sua spina nel fianco si chiama Podemos, che ha fatto l’en plein alle elezioni regionali di maggio. Il successo di Tsipras aveva tirato la volata a Pablo Iglesias e ai suoi alleati di Ciudadanos, ma anche in Spagna lo scenario è cambiato e gli ultimi sondaggi vedono il partito in frenata al 18 per cento. Per risollevarne le sorti il partito ha assunto come consulente l’economista francese Thomas Piketty.
Diverso è il discorso per la Polonia, che non ha mai conosciuto periodi di recessione in tempo di crisi. La sfida si gioca tra due donne: l’attuale premier Ewa Kopacz di Piattaforma Civica (il partito di Donald Tusk, presidente del Consiglio Ue), favorevole all’euro, e Beata Szyd?o, candidata polacca di Giustizia e libertà, il partito euroscettico di destra che a maggio si è aggiudicato la presidenza del Paese con l’affermazione di Andrzej Duda. Se dovesse prevalere la seconda l’adesione alla moneta unica sarebbe ancora più lontana. Qui a raccogliere la voce del dissenso è anche il cantante rock Pawel Kukiz vicino alla destra nazionalista: la sua potrebbe diventare la terza forza politica del Paese.
In attesa di Londra
Alla finestra, intanto, resta Londra, che per il prossimo anno (probabilmente a giugno), ha indetto il referendum sulla Brexit, l’uscita dalla Ue.
«Bruxelles – conclude Scarpetta – non può ignorare le voci di dissenso e riflettere su maggiore flessibilità dei conti pubblici per Paesi dell’area euro, ma anche su un riequilibrio dei pesi all’interno del Consiglio Ue con una maggiore voce in capitolo per i Paesi come Gran Bretagna e Polonia che non sono nell’Eurozona». La partita è appena iniziata.