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 2015  settembre 14 Lunedì calendario

L’imprevisto successo di Antonio Manzini: «Come direbbe Arbasino, oggi a 50 anni sono il solito stronzo». Lo scrittore è primo con i suoi gialli, protagonista il vice-questore Rocco Schiavone: una fama raggiunta tardi, dopo varie vite e mestieri

“Ci penso da tempo: forse questo successo è arrivato al momento giusto, forse a 30 anni non avrei avuto la capacità per gestire i tempi collettivi e quelli professionali. Oggi amo stare da solo, riesco a isolarmi mentre scrivo, mi piace vivere in campagna, mi dà fastidio il rumore, la confusione, la città, i luoghi inghiottiti dalle persone. Resto calmo”. Calmo e sorridente, Antonio Manzini. Vestito casual, casco e motorino per affrontare il caos della Capitale, quando parla diventa quasi l’antagonista di Rocco Schiavone, il personaggio da lui creato e pubblicato da Sellerio, che in soli tre anni, e quattro libri, gli ha consegnato una fama inaspettata, il primo posto in classifica, la tranquillità professionale (“Adesso sono indipendente, non devo dire grazie, non sa quanto è bello”), una ragione artistica e la gioia di godersi la sua età.
Il vice-questore Rocco Schiavone è introverso, disilluso, picchia, fuma erba e ruba. Odia Aosta, città nella quale lo hanno spedito per punizione.
Luogo meraviglioso, ci andrei a vivere subito. La popolazione è un po’ chiusa, ma va bene così. Lì Rocco è una celebrità: in una piccola libreria locale hanno venduto 700 copie.
In Polizia saranno meno soddisfatti.
Dopo il primo libro mi è arrivata un’email dalla Questura di Aosta, con lo stesso questore molto divertito che mi invitava a visitare gli uffici.
Il suo personaggio è ostico.
Però stiamo preparando la versione per Rai2, e la rete non mi ha censurato nulla, una delle puntate parte con lui che si prepara una canna.
Chi sarà Rocco?
Non lo sappiamo ancora, siamo alle fasi iniziali.
È al quarto libro dedicato a Schiavone. Se pensa al primo, non crede di aver svelato subito e troppo del personaggio?
Forse dovevo un po’ aspettare. Però questo dato ha smosso molto, e ho scoperto che il pubblico non legge i libri per capire chi è l’assassino, ma vuole sapere cosa accade nella vita dei personaggi.
Il giallo è secondario.
L’illuminazione è arrivata grazie a Facebook, all’email dei lettori, i loro consigli, gli attacchi contro alcuni protagonisti, tipo la donna di Rocco: la riempiono d’insulti, darle della ‘stronza’ è il minimo.
Oramai Schiavone si è emancipato da lei. Agatha Christie arrivò a detestare il suo Hercule Poirot
Beh, c’è chi chiamava Simenon “Maigret”. Comunque è vero, Rocco ha una sua indipendenza collettiva.
In un libro ha ringraziato una persona “perché conosce Schiavone meglio di me”.
Mi riferivo a Fabrizio, un mio vecchio amico di Trastevere. Lui sa tutto del mondo descritto nei miei gialli, lui ha conosciuto la Roma degli anni Settanta e Ottanta, la Roma criminale ora celebrata sugli schermi, la Roma degli scontri tra destra e sinistra.
La vita di Manzini da ragazzo.
Cresciuto all’Eur, frequentavo un liceo di Spinaceto (quartiere citato da Nanni Moretti in Caro Diario, come luogo di presunto abbandono sociale). Un giorno il professore di filosofia sparì: arrestato perché era dei Nar. Un altro mio amico finì in manette perché era il palo di alcune rapine, ho conosciuto due della Banda della Magliana.
C’è stato un momento in cui si è detto: o di qua o di là?
No, mai: ero un borghese, studiavo, ero bravo, moderato. Però stavo sempre con i tipi loschi per guardare, immagazzinavo immagini, esperienze, stili di vita. Guardavo le Alfasud arrivare ad alta velocità, il proprietario scendere e piazzare una pistola sul tetto dell’auto. Mi sono divertito, ma avevo anche paura.
Si ricorda il momento del rapimento-Moro?
Ero a scuola. A un certo punto ci mandarono a casa e senza dirci niente. La città era ferma. A casa trovai i miei sconvolti e davanti alla Tv, con mio padre, di sinistra, che scuoteva la testa e diceva “questa storia non mi convince”.
Suo padre di cosa si occupava?
È un artista, con lui ho conosciuto molti dei grandi del periodo, ma con l’arte non riusciva a mantenere la famiglia, e così a 25 anni entrò all’Eni. Capo del personale. A Natale non potevamo entrare in casa, invasi dai regali, lui li mandava tutti indietro. Poi se ne andò, non ne poteva più.
Da cosa giudica una casa?
Dai libri. I libri sono religione, in alcuni casi intoccabili: Pirandello in carta di riso si può solo guardare, non sfogliare, così i Meridiani.
Attore, sceneggiatore, scrittore: c’è un filo in tutto questo?
Sì, raccontare le bugie.
Le manca la vita di prima?
Per niente. Durante le fiction passavo sette, otto mesi a recitare con della gente improbabile, incapace. Mi annoiavo, mentre in teatro non ci sono soldi. Vedevo il camerino e arrivava la tristezza.
Sua moglie ha sostenuto l’addio al palcoscenico?
Ha condiviso la scelta. Si occupava di casting, ha lasciato: erano solo lettere e telefonate di raccomandazione.
Manzini all’università.
Ho iniziato con giurisprudenza, poi sono stato preso all’Accademia di arte drammatica e tutto ha preso un altro verso. Ma qualcosa dei codici ricordo, e mi servono per i gialli, poi parlo con magistrati, avvocati, criminologi.
Nei suoi libri c’è qualcosa di Camilleri.
È stato mio insegnante all’Accademia. E di lui c’è tanto.
I due poliziotti tonti, ricordano il Catarella “croce” di Montalbano.
In realtà ho piazzato quei due come personaggi shakespeariani: sono i buffoni utilizzati nella prima parte delle tragedie per allentare la tensione; poi, quando non c’è più motivo per sorridere, il loro ruolo evapora. Siccome vengo da un impianto teatrale, mi sono ispirato da lì. Dopo qualcuno mi ha ricordato di Catarella, e quando ho parlato con Andrea lui mi ha risposto: “Anche io ho pensato a Shakespeare”. Comunque vorrei farne morire uno.
Altri insulti su Facebook.
Possibile. A volte non mi trovo con il sistema-internet: è come avere la porta di casa sempre aperta. Mi fa impressione la capacità di offendersi e cambiare idea di chi vive davanti al computer.
Ha vissuto vari tipi di fan.
Quando ero attore, magari mi riconoscevano per strada, ed era un attimo, una questione breve. Per lo scrittore il piano è differente. Con i libri parli, anzi sussurri, il rapporto è uno a uno, intimo, dove nasce un discorso in teoria reciproco, in pratica univoco. Il lettore ti ha scelto.
Una responsabilità.
Grande, e non si rifiuta.
È cambiato?
Sono più libero, e mi piace da morire. È cambiato il mondo attorno a me, e a volte questo mi dà fastidio: ora, quando parlo, e magari dico cazzate, la gente mi prende sul serio, ‘che cosa profonda!’. Ma quale profonda? È la stessa di un anno fa, solo che mi hanno affibbiato un altro ruolo.
Non è ancora ego-riferito?
Ho incaricato mia moglie di valutare il mio stato mentale: in caso di rigonfiamento, è incaricata di smontarmi.
Incontra lettori con in mano il suo libro?
Mai, ma controllo sempre. Quando è uscito Pista nera sono andato in libreria, davanti a me, in fila per la cassa, ho visto un signore con un cestino pieno di libri, e di nascosto gli ho infilato il mio.
Secondo Arbasino la carriera degli italiani di successo si divide in tre fasi: brillante promessa, solito stronzo e venerabile maestro.
Perfetto, con i miei 51 anni rientro in quella centrale, e per fortuna ho saltato la prima. Alla terza non arrivo.