Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  settembre 14 Lunedì calendario

Questo 2015 è per Nibali stagione di delusioni, per Aru di trionfi. Il sardo ha conquistato la Vuelta e ora può puntare da leader al prossimo Tour, mentre il siciliano appare sempre più sfiancato. Le strade dei due dovrebbero diventare comuni ai Giochi di Rio, in maglia azzurra

Una trionfale passerella notturna nel cuore di Madrid ha celebrato ieri Fabio Aru, vincitore di un’edizione della Vuelta (volata finale a Degenkolb) ricchissima di colpi di scena. Dopo il Tour di Nibali, il fragile ciclismo azzurro (poche squadre, crisi di vocazioni, doping) registra un secondo prestigioso successo in un anno.
Nibali e Aru fino ai 18 anni sembravano fusi dallo stesso stampo. Due orgogliosi isolani diventati ciclisti per motivazione personale e non contaminazione familiare, caso raro in Italia. Due giovani vincenti emigrati per inseguire i loro sogni, il primo nell’enclave toscana della Mastromarco, il secondo alla corte bergamasca di Olivano Locatelli. Ma le similitudini caratteriali e di formazione si fermano qui. Nibali debutta (2005) e matura nel ciclismo italocentrico dei direttori sportivi-sceriffi, onniscienti e onnipotenti. Aru comincia (2012) quando il d.s. è ormai solo parte di un meccanismo complesso e globalizzato. Ingaggiati da una squadra problematica (Astana) si proteggono uno chiudendosi in se stesso (Nibali), l’altro (Aru) costruendosi un ambiente di confort allargato a familiari colleghi: Fabio è il primo corridore a pretendere la presenza della compagna nei lunghi ritiri, per sdrammatizzare e «normalizzare» la fatica, un po’ come gli olandesi nel calcio degli anni 70. Ciò gli permette di superare bene un inverno turbolento, quando il ciclismo mette sotto accusa il team per le scelte del manager Vinokourov. La strategia del sardo paga di più: Nibali comincia il 2015 sfiancato dallo stress.
Grandi lavoratori, ma con metodi differenti: Nibali subisce i carichi di allenamento, Aru li metabolizza con più partecipazione. Il coach Slongo è un maestro bonario ma spesso costretto ad alzare la voce per scuotere il siciliano. Il tecnico Mazzoleni per Aru è autorevole fratello maggiore. In gara sono entrambi portatori di spettacolare ma anche pericolosa generosità. Nibali ha sprecato per anni raccogliendo poi tutti assieme i frutti del suo talento. Aru sbaglia, analizza, si corregge in tempo reale come accaduto a Giro e Vuelta. Nibali ha sui gregari un ascendente che deriva dal suo enorme talento, Aru è amato per quello che fa e dice, soprattutto fuori gara.
Il 2015 è per Nibali stagione di delusioni, per Aru di trionfi. Ma l’irresistibile ascesa del vincitore della Vuelta sta facendo cambiare pelle al siciliano che comincia a capire le ragioni troppi silenzi attorno a lui. Il 2016 doveva riservare ad Aru il Giro e a Nibali il Tour. Le parti potrebbero invertirsi e Vincenzo ripartire dal Giro per ritrovare se stesso con mentalità nuova. Le strade dei due dovrebbero diventare comuni ai Giochi di Rio, in maglia azzurra.