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 2015  settembre 11 Venerdì calendario

La pace nel Palazzo di Vetro. Il salone dell’Assemblea delle Nazioni Unite ha riaperto di recente, dopo qualche anno di chiusura per lavori. Oltre due miliardi di dollari per adattare l’elegante edificio di Oscar Niemeyer alla nuova era, quella dell’anti-terrorismo. Il tutto nel 70esimo compleanno di questa creatura voluta da Franklin Roosevelt – quando, per ironia della sorte, i profughi eravamo noi – della quale oggi non possiamo più fare a meno

In un angolo una guida ufficiale dell’Onu illustra sottovoce a un gruppetto di visitatori il luogo solenne in cui si trovano. A parte loro: che vuoto, che silenzio, che pace. Durerà poco. Tra qualche giorno questo salone dell’Assemblea delle Nazioni Unite che posso attraversare a grandi passi per misurare l’eco e l’insonorizzazione, diventerà tumultuoso e inaccessibile, straripante e off-limits, via via che affluiranno qui dentro tutti i potenti della terra: papa Francesco e Vladimir Putin, Xi Jinping e Barack Obama tra gli altri. Le apparenze esterne dell’aula plenaria sono celeberrime, immortalate in 70 anni di grande storia, di discorsi infuocati, come il celebre comizio urlato dal leader sovietico Nikita Kruscev sbattendo una scarpa sul tavolo all’apice della guerra fredda. Le apparenze ingannano. Questo salone ha cambiato pelle, è un oggetto nuovo.
Ha riaperto di recente, dopo qualche anno di chiusura per lavori: anti-terrorismo. Oltre due miliardi di dollari per adattare l’elegante edificio di Oscar Niemeyer a un’era nuova. Negli anni Cinquanta fu concepito quando il mondo intero temeva di scomparire in una deflagrazione atomica. Oggi il rischio più concreto è quello immaginato dal film “The Interpreter” con Nicole Kidman: un attentato nel cuore del Palazzo di Vetro. L’Onu ha già pagato il suo tributo di sangue, anche se finora gli attacchi terroristici hanno colpito sedi periferiche: Bagdad nel 2003, Algeri nel 2007. La ristrutturazione newyorchese ha rispettato le linee di Niemeyer ma è intervenuta proprio sul vetro. Oggi finestre esterne e interne sono di un materiale speciale, non banalmente anti-proiettile, bensì un vetro che deve frantumarsi in modo da assorbire la massima energia di un’eventuale esplosione, proteggendo l’edificio e soprattutto il “contenuto umano”.
I lavori si sono conclusi in tempo per quella che sarà un’Assemblea storica. Il 70esimo compleanno di questa creatura voluta da Franklin Roosevelt per impedire un altro conflitto mondiale. E poi il bilancio del Millennium Goal. Più un summit sull’ambiente. Non a caso quest’Assemblea generale segna il “tutto esaurito”, mai così tanti leader decisero di esserci insieme. Putin non veniva da dieci anni, forse proprio qui tasterà il terreno per un riavvicinamento a Obama sulla Siria.
L’Onu è cresciuta a dismisura rispetto alla “creaturina” del 1945. L’Italia aderì dieci anni dopo, e festeggia il suo 60esimo. Gli Stati membri sono passati da 51 a 193, via via che la decolonizzazione moltiplicava le nazioni indipendenti. Un anacronismo è il Consiglio di sicurezza, sembra una foto in bianco e nero scattata alla fine della Seconda guerra mondiale: comandano ancora le cinque potenze vincitrici (o presunte), Usa, Russia, Cina, Inghilterra e Francia. Le uniche con potere di veto. Un club sempre meno rappresentativo. Taglia fuori giganti economici e potenze emergenti, esclude tutta l’Africa e l’America latina.
Rispetto agli ideali della creazione, è facile elencare le promesse tradite. Le guerre si susseguono e l’Onu è quasi sempre spettatrice impotente. Nelle crisi più gravi – ultima la Siria – interessi geopolitici conflittuali paralizzano il Consiglio di sicurezza. Nel frattem- po la burocrazia Onu ha avuto una crescita ipertrofica. 500 miliardi spesi dal 1945 a oggi. 85.000 dipendenti, spesso accusati di avere privilegi da satrapi, talvolta indagati per corruzione, con processi disciplinari insabbiati da una magistratura interna poco trasparente. 17 agenzie diverse. 1.200 uffici distribuiti nel mondo intero. Accuse pesanti, ad esempio per i gravi errori commessi dalla sua agenzia della sanità di fronte all’epidemia di Ebola. Tra gli scandali più gravi: gli stupri di massa compiuti dai caschi blu dell’Onu, per lo più truppe africane in missioni peace-keeping in Africa.
Eppure dell’Onu non possiamo fare a meno. L’emergenza numero uno di questi giorni ce lo ricorda. Di fronte alle ondate di profughi, nessuno ha sviluppato una capacità d’intervento paragonabile all’Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr). Ironia della storia, quell’organismo fu creato quando i profughi eravamo noi. La sua prima missione fu accogliere e assistere milioni di europei in fuga dopo le distruzioni della Seconda guerra mondiale: per il suo ruolo in quella crisi l’Unhcr ricevette il Nobel della pace nel 1954. All’estremo opposto del pianeta, l’attuale segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, sudcoreano, ricorda che da bambino potè studiare grazie ai libri forniti dall’Unicef (l’agenzia Onu per l’infanzia), dopo la guerra di Corea.
Oggi l’Unione europea crede di fare uno sforzo enorme di accoglienza dei rifugiati. In realtà sono ben più numerosi i siriani fuggiti in Libano e Giordania: 4 milioni. Il loro mantenimento, cibo e assistenza sanitaria, dipende in gran parte dalle agenzie Onu in loco. Sempre in prima linea, e sempre più a corto di mezzi. Di recente una di queste agenzie, il World Food Program, per mancanza di fondi ha dovuto tagliare le razioni alimentari a 1,6 milioni di profughi siriani in Libano. La World Health Organization ha dovuto chiudere 184 ambulatori che gestiva in Iraq, privando di cure mediche tre milioni di iracheni. Contro l’avarizia dei paesi ricchi, che lesinano mezzi alle Nazioni Unite, uno dei più severi è l’alto commissario per i rifugiati Antonio Guterres. La sua accusa: l’intero bilancio mondiale degli aiuti umanitari per i profughi, che arriva a stento a 30 miliardi di dollari, è meno di quel che fu speso nella crisi del 2008 per salvare una singola banca di Wall Street.
L’opinione pubblica occidentale è manichea: da una parte vede “i burocrati” dell’Onu, dall’altra i veri eroi dell’azione umanitaria come Medici Senza Frontiere, Emergency. Ma una ong come Save the Children riconosce che solo l’Onu ha l’infrastruttura logistica per organizzare grandi operazioni di accoglienza in tempi rapidi, e il peso politico per superare eventuali veti di governi locali.
A spezzare una lancia in favore dell’Onu è l’economista radicale Jeffrey Sachs dell’Earth Institute (Columbia University). Sachs elenca una lunga serie di successi che attribuisce almeno in parte alle Nazioni Unite: «L’accordo con l’Iran è maturato dentro il gruppo dei cinque del Consiglio di sicurezza. Il Millennium Development Goal alla sua conclusione dopo 15 anni ha registrato la più prolungata e vasta riduzione della povertà nel mondo, un miglioramento della salute e dell’istruzione nella maggior parte dei paesi poveri. L’attenzione e la mobilitazione mondiale sul clima non sarebbero tali senza il ruolo catalizzatore dell’Onu».
Il bilancio del Millennium Goal, uno dei temi di quest’Assemblea, è positivo anche se non ha centrato tutti gli obiettivi. Il numero di persone che vivono sotto la soglia della povertà assoluta (1,25 dollari al giorno) è sceso da 1,9 miliardi nel 1990 a 836 milioni. La mortalità infantile si è dimezzata in 25 anni. La percentuale di bambini che frequentano almeno le elementari è cresciuta dall’83% al 91%. Non tutto per merito dell’Onu ovviamente; gran parte di questo miglioramento è avvenuto dentro i confini di Cindia, con lo sviluppo economico cinese e indiano che ha sollevato il tenore di vita di due miliardi di persone. Più incerta è la misurazione dei progressi sui diritti delle donne. Anche per questo, quando si concluderà il grande happening dell’Assemblea generale e si apriranno i giochi per la nomina del nuovo segretario generale, molti si aspettano che per la prima volta sia una donna a guidare il Palazzo di Vetro.