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 2015  settembre 09 Mercoledì calendario

A proposito di Giovanni Scattone, il filosofo del diritto condannato per l’omicidio di Marta Russo e ora, scontata la pena, insegnante in un istituto tecnico romano. I dubbi di Gramellini: «È giusto concedere a Scattone l’opportunità di tornare a fare il suo mestiere, oppure l’alone di un passato maledetto lo obbliga a cambiare lavoro o ad andare a esercitarlo altrove?»

Un professore viene condannato per un omicidio che continua a negare di avere commesso. Scontata la pena, vince un concorso scolastico e dopo anni di precariato ottiene la cattedra in un istituto tecnico di Roma. Sembra una bella storia di riscatto umano e magari lo è. O magari no. Perché quel professore è Giovanni Scattone, che nella percezione di tanti italiani rimane un simbolo di fanatismo intellettuale. Il filosofo del Diritto che, affacciandosi armato di pistola da una finestra della Sapienza insieme con un collega, abbatte a sangue freddo la studentessa Marta Russo per il puro gusto di sperimentare il delitto perfetto.
È umano che i familiari della vittima reagiscano inorriditi alla notizia del suo scattone di carriera. E che qualche brivido di disgusto e persino di paura scorra lungo le schiene dei genitori dei futuri studenti. Ai quali, per un’apparente bizzarria del destino, Scattone insegnerà psicologia e scienza dell’educazione. Chi non è coinvolto emotivamente nella vicenda ha però l’obbligo di ricordarsi che il professore ha pagato il conto con la giustizia e che la Cassazione riconobbe la colpevolezza ma non la volontarietà del suo gesto, cancellando la pena accessoria dell’interdizione all’insegnamento e così ponendo le premesse a quanto succede in queste ore. È giusto concedere a Scattone l’opportunità di tornare a fare il suo mestiere, oppure l’alone di un passato maledetto lo obbliga a cambiare lavoro o ad andare a esercitarlo altrove? La natura di un corsivetto come questo condanna l’autore a esprimere ogni giorno opinioni nette. Stavolta consentitegli di non averne.