Corriere della Sera, 9 settembre 2015
La rivoluzione di Papa Francesco sui matrimoni: con la riforma della Sacra Rota sarà più facile scioglierli. Rapidità, gratuità, ruolo centrale del vescovo: sono i tre punti chiave al centro del nuovo processo di annullamento. Il Pontefice: «Troppi fedeli esclusi dalla distanza fisica o morale»
Rapidità, gratuità, ruolo centrale del vescovo: sono le tre chiavi della riforma del processo matrimoniale promulgata ieri da Papa Francesco. Una riforma forte, quasi una rivoluzione, consegnata a un documento intitolato «Mitis Iudex Dominus Iesus» («Il Signore Gesù giudice clemente»), parole simboliche della direzione in cui il Papa vuole che si muova la Chiesa: quella della clemenza nel giudizio.
Nella premessa Francesco afferma di aver avuto presente – nel deciderla – «l’enorme numero di fedeli che troppo spesso restano lontani dalle strutture giuridiche della Chiesa a causa della distanza fisica o morale». La riforma semplifica e velocizza: una sola sentenza, lo stesso vescovo come giudice, la possibilità – nei casi più semplici – di un «processo più breve». Tra i casi più semplici vengono elencati «la mancanza di fede, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione, la violenza fisica inferta per estorcere il consenso».
Fino a oggi erano necessari due processi, presso due diversi tribunali (uno diocesano e uno interdiocesano), con sentenza «conforme», cioè la seconda confermante la prima, perché il riconoscimento della nullità divenisse esecutivo e le «parti» potessero risposarsi in chiesa. Ora ne basterà una, ma sarà comunque possibile l’appello di una delle parti contro la prima sentenza.
«Le Conferenze Episcopali curino che venga assicurata la gratuità delle procedure», stabilisce il Papa. Non vuol dire che tutti i processi saranno gratuiti, ma che lo saranno ovunque le diocesi o le Chiese nazionali riusciranno a coprire le spese senza il contributo dei coniugi che chiedono il riconoscimento della nullità.
Nei Paesi poveri ci sono vescovi che non dispongono di personale per «istituire un tribunale» e in tale caso possono affidare le cause «a un giudice unico, chierico», cioè sacerdote, che potrà associare a sé due aiutanti anche laici «di vita specchiata, esperti in scienze giuridiche o umane, approvati dal vescovo per questo compito». Anzi, il vescovo stesso è formalmente «il giudice di prima istanza» nella sua diocesi e può procedere in proprio, nei casi più semplici, se non dispone di persone alle quali delegare la «potestà giudiziale» che gli spetta a norma dei canoni.