La Stampa, 8 settembre 2015
Angela Merkel non è un politico qualsiasi e da sempre la Germania sa essere una macchina da guerra anche quando lavora per la pace. Però la reazione di una comunità intera alle affermazioni della cancelliera trascende la sua personalità e rivela che è la classe dirigente tedesca nel suo complesso a non avere perso la propria autorevolezza. Lì il patto di fiducia tra leadership e popolo funziona ancora
Tra le lezioni impartiteci dalla vicenda dei profughi c’è che la politica esiste ancora. È bastato che in Germania un politico dicesse «Li prendiamo noi» perché il Paese tutto, dai semplici cittadini agli apparati statali, si mettesse in moto con slancio e raziocinio per trasformare il verbo in gesto. Angela Merkel non è un politico qualsiasi e da sempre la Germania sa essere una macchina da guerra anche quando lavora per la pace. Però la reazione di una comunità intera alle affermazioni della cancelliera trascende la sua personalità e rivela che è la classe dirigente tedesca nel suo complesso a non avere perso la propria autorevolezza. Lì il patto di fiducia tra leadership e popolo funziona ancora. E si tratta di un legame profondo che trae la sua legittimazione da una lunga pratica di credibilità. Lì le parole della politica hanno un peso. Lo hanno sempre avuto, nel bene e nel male. Lì quando uno sbaglia si dimette. E dopo averlo detto lo fa davvero.
Ogni paragone con altri agglomerati umani collocati più a Sud suona stridente e in fondo inutile. Noi abbiamo altre caratteristiche. Su tutte, una sfiducia atavica nel potere, che è il retaggio di invasioni millenarie. In Italia ogni cambiamento significativo – dalla rivoluzione industriale all’economia sommersa – è avvenuto non attraverso la politica ma contro di essa, comunque a sua insaputa e in un clima di disinteresse per i suoi litigi, i suoi riti, le sue parole vuote. Qui la classe dirigente non è mai stata la locomotiva di nulla. Nelle sue espressioni migliori, si è limitata a scambiare qualche binario e ad agganciare qualche vagone. Nelle peggiori, a fare deragliare il treno.