la Repubblica, 8 settembre 2015
Qualcosa di profondo sembra davvero avvenuto, in Europa, in questi ultimi giorni. La forza simbolica dell’accoglienza, forse per la prima volta, ha messo in ombra i fantasmi della paura e della diffidenza. I tedeschi che a migliaia affollano le stazioni ferroviarie per accogliere i profughi cantando l’Inno alla gioia, e portano cibo, vestiti, strette di mano, abbracci, sono popolo anch’essi. Il termine “populismo” usurpa e monopolizza il concetto di popolo, gli leva la facoltà di non essere una massa indistinta capace solamente di chiedere (e di odiare), ma individui in condizioni di scegliere, di avere e soprattutto di dare
Non ci si deve fare illusioni, passato il momento di forte emotività positiva la questione dei profughi e dei rifugiati, e quella più vasta e generica dei migranti, tornerà a produrre le sue spine, le sue tensioni, i suoi drammi. Ma qualcosa di profondo sembra davvero avvenuto, in Europa, in questi ultimi giorni. La forza simbolica dell’accoglienza, forse per la prima volta, ha messo in ombra i fantasmi della paura e della diffidenza; il sentimento della solidarietà è apparso finalmente popolare, facendo a pezzi il detestabile luogo comune costruito in questi anni dalla destra xenofoba, che dipinge le élite arroccate nel loro buonismo ipocrita, ben tutelato dal censo, e il popolo lasciato solo e indifeso con le sue angosce, esposto alla strada e ai suoi rischi. I tedeschi che a migliaia affollano le stazioni ferroviarie per accogliere i profughi cantando l’Inno alla gioia (che è l’inno d’Europa), e portano cibo, vestiti, strette di mano, abbracci, sono popolo anch’essi. Il termine “populismo” usurpa e monopolizza il concetto di popolo, gli leva la facoltà di non essere una massa indistinta capace solamente di chiedere (e di odiare), ma individui in condizioni di scegliere, di avere e soprattutto di dare. Se il ringhio razzista appare, in questi giorni, un poco più fievole, è perché i media sono stati in qualche modo costretti a puntare le telecamere e i microfoni su tutt’altro spettacolo. Finalmente.