il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2015
Quattro chiacchiere con Vincenzo Nibali, campione per sbaglio: «Mi annoiavo, volevo smettere. Da quando è nata mia figlia Emma alcune cose sono cambiate: prima di essere troppo matto in discesa ci penso un attimo. Dopo il Tour e la Vuelta sono ancora furioso, ma avrò modo di riscattarmi. Sono abituato a cadere e rialzarmi in fretta»
Un destino segnato quello di Nibali, complice il padre Salvatore, appassionato di ciclismo, che lo ha indirizzato sin da piccolo a questa disciplina e che, insieme alla madre, lo ha lasciato partire a 16 anni per raggiungere la Toscana: “Non è facile mandare un figlio così giovane allo sbaraglio – dice Vincenzo – a 1000 km di distanza, senza sapere cosa fa veramente tutti i giorni, vedendolo solo nei periodi di festa, ci vuole coraggio”.
È per questo coraggio che Vincenzo ringrazia i suoi genitori che lo hanno sempre sostenuto e motivato sin da bambino ed è da loro, dalla sua famiglia, che lui si va a ricaricare nei momenti meno facili, come questo. Ora, insieme alla moglie Rachele e alla piccola Emma, è nella sua Sicilia dove continua ad allenarsi.
Ed è proprio nella sua terra che Lo Squalo ha superato le prime difficoltà, quando lo scoglio maggiore dei suoi allenamenti da ragazzo era la noia: “Non mi divertivo, volevo quasi smettere. Uscivo sempre solo ad allenarmi o con papà, mi mancava la compagnia della mia età”. Perché la bici è passione ma anche tanto sacrificio, sudore, fatica. Le soddisfazioni quando arrivano però sono doppie “le vittorie dei grandi giri sono qualcosa di impagabile”, i momenti più brutti invece “sono le cadute, quando devi ripartire.
Quest’anno è stato un momento della mia carriera non semplice da gestire, ma sono stati problemi tecnici e non personali e c’è una grande differenza. È la rabbia che viene fuori che ti fa anche sbagliare”. Sono le 9,30 e tra poco è l’ora di iniziare l’allenamento, al telefono la voce è serena, in sottofondo si sente la figlia Emma.
Emma ha un anno e mezzo, diventare papà ha cambiato il suo modo di correre?
Quando sei in corsa ti dimentichi di tutto, però ammetto che un po’ di attenzione in più ce la metto, magari invece di essere troppo matto in discesa ci penso un attimo.
Serietà e umiltà sono sempre stati i suoi tratti distintivi, in uno sport che spesso è stato affiancato alla parola “doping”, lei è sempre stato considerato pulito. Un paio di anni fa si è anche esposto dopo le dichiarazioni che aveva fatto Danilo Di Luca trovato positivo all’Epo.
Di Luca aveva dichiarato che era impossibile non fare uso di doping e arrivare nei primi 10 al Giro d’Italia e allora lì mi sono difeso. Forse sono stato troppo duro nei toni perché mi chiesero cosa ne pensassi subito dopo un arrivo di tappa e sono andato giù pesante. Di Luca è stato un grande compagno di squadra, per me un grande capitano e in merito alle sue dichiarazioni siamo rimasti tutti molto sorpresi perché alla fine quello è stato anche il suo mondo per tantissimo tempo e sa perfettamente che non è così scontato. Ci sono persone buone e esistono anche quelle cattive che ti possono magari indurre a commettere uno sbaglio, ma io da quando corro fino a oggi ho sempre fatto gavetta e allenamenti e di questo vado fiero, per questo mi sono esposto così.
È per il fatto che lei è sempre stato un esempio di correttezza e lealtà che il recente episodio che l’ha visto protagonista alla Vuelta (si è attaccato all’auto ed è stato squalificato) ha avuto una ripercussione così pesante?
Attaccarsi alle auto è una cosa comune quando succede una caduta, un incidente meccanico o un problema. Poi ci sono i modi di poterlo fare, c’è chi lo fa magari con una leggera spinta. Io non mi sono attaccato, ma ho preso soltanto una borraccia con un lancio, al massimo, di 150/200 metri. Queste cose sono da sempre state un po’ tollerate dai giudici. Vero è però che il ciclismo sta cambiando e quindi è giusto che io abbia preso questa squalifica perché in parte è colpa mia. La maggior parte della colpa però l’ha presa anche il direttore sportivo Shefer che era alla guida dell’ammiraglia. Onestamente il piede sull’acceleratore non ce l’avevo io e io non potevo lasciare la presa perché in quei momenti se uno si stacca finisce per terra perché c’è l’inerzia e la forza e quindi è impossibile. Bisogna per forza aspettare che venga tolto il piede dal gas.
Esistono consuetudini e regole non scritte quindi?
Quando c’è un problema meccanico è un fatto comune. Diverso è quando uno è recidivo da più volte nella stessa corsa perché magari è stanco e si attacca. Ma lì siamo anche noi corridori che ce ne rendiamo conto e a volte ce la prendiamo con i nostri colleghi. Certo, ci sono delle regole non scritte nel ciclismo, sono sempre esistite. In tanti si lamentano del fair-play, però questa è una cosa che non si sa quando bisogna applicarla e come funzioni realmente, ad esempio, se ci sono cadute bisogna aspettare? Ognuno fa valere il proprio buon senso a favore e a piacere suo.
Chi le è stato vicino e chi invece e stato pronto a puntare il dito?
Le persone che mi sono state più vicine sono state mia moglie e la mia famiglia. I tifosi poi, alcuni mi sono stati vicino, altri mi hanno attaccato. Mi sono voluto staccare un attimo dal mondo social perché oramai su internet sono diventati tutti giudici. La sera dell’episodio alla Vuelta ho visto tanti commenti su internet da parte di persone che lavorano e vivono il ciclismo e di persone che invece non lo hanno mai vissuto e non conoscono le vere regole. Così ho preso il telefono e ho postato un messaggio di scuse sulla mia pagina facebook dicendo anche quello che pensavo. Dopo di che mi sono cancellato da twitter perché a livello personale ho preferito così ma un domani sicuramente tornerò.
Dopo questa storia quanta voglia hai di riscatto e quali sono i tuoi programmi imminenti?
La voglia di riscatto é tanta, voglio rientrare in corsa e portare un bel successo, non sarà semplice ma la voglia è questa. Rientrerò dopo il 14 settembre e farò la Coppa Agostoni (16 settembre) e le Tre Valli Varesine (30 settembre) e poi via via vedremo. Vedremo anche se arriverà la convocazione per il mondiale, non è niente di sicuro ma sono in contatto con il commissario tecnico. Si stanno valutando tante soluzioni e bisogna vedere come sarà la mia condizione al rientro.
Ancora arrabbiato per la squalifica alla Vuelta?
Io sono arrabbiatissimo, vorrei spaccare tutto e cerco di sfogarmi sulla bici che è il mio punto di forza. A 10 anni padre mi tirò un ceffone per farmi reagire in un momento di sconforto, da quel momento la determinazione e l’umiltà sono diventati punti di forza.