il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2015
È finita la lunga estate dei parlamentari e si riparte con la battaglia della riforma costituzionale al Senato, alias ddl Boschi. Non solo sarà «la madre di tutte le battaglie», ma sarà anche «la prima battaglia in cui Renzi non è più forte come prima». Il Pd in cerca di 161 voti necessari. Poi si passerà alla legge sulle unioni civili
Per dirla coi ribelli bersaniani, quella della riforma costituzionale al Senato, alias ddl Boschi, non solo sarà “la madre di tutte le battaglie”, ma sarà anche “la prima battaglia in cui Renzi non è più forte come prima”. Nel senso che la minaccia del voto anticipato alla fine potrebbe rivelarsi un bluff perché stavolta sarebbe lo stesso premier ad aver paura delle urne, in compagnia di tanti altri, tra cui Berlusconi e Alfano. Verità o suggestione o speranza che sia, la guerra sul terzo passaggio della prima lettura della riforma (la Costituzione ne prevede quattro, di letture) andrà in scena a metà settembre dopo un’estate di trattative, minacce e persino di un insistente “pestaggio mediatico” contro la minoranza dem da parte degli ultrà renziani. La sostanza in palio è nota da tempo. Un tormentone legato agli emendamenti bersaniani per ritornare al Senato elettivo e finora schiantatisi sul muro eretto dall’ortodossia democrat più hard, incarnata dalla ministra Boschi.
A conferma di questa strategia della maggioranza c’è lo scouting in corso da settimane. A tutto campo. Per arrivare a quota 161, il numeretto necessario per l’approvazione al Senato, i renziani non fanno distinzione tra bersaniani e verdiniani, forzisti e autonomisti di varia estrazione. Offerte e minacce, legate a ricandidature e al voto anticipato.
Stavolta, però, è proprio così o, appunto, il premier sta bluffando? Solo l’esito della battaglia stabilirà vincitori e vinti e al momento i bersaniani non sembrano arretrare, rifiutando le ipotesi di compromesso che non toccano l’articolo 2 della riforma, quello che definisce la natura del Senato.
Forse si spaccheranno, forse no. Senza di loro i numeri non ci sono e la rottura non è esclusa se la minoranza già pensa di appellarsi alla libertà di coscienza. Dice il senatore Federico Fornaro, tra i bersaniani più lucidi: “Stando a quello che si legge, il Pd lascerebbe la libertà di coscienza sulle unioni civili ma non sulla riforma della Costituzione, come invece il nostro regolamento prevede”. Chiaro, chiarissimo che sarà un voto blindato e da lì dipenderà il prosieguo della legislatura. Nello scenario peggiore per il Pd, le urne anticipate significherebbero automaticamente la scissione bersaniana.
Altrimenti chi ricandiderebbe i senatori ribelli? L’onere della prova, in ogni caso, spetta al premier e la minoranza scommette pure su un fallimento confermativo del referendum previsto nell’autunno del 2016, qualora il ddl Boschi dovesse essere approvato. Non solo.
La finestra autunnale di Palazzo Madama riservata alle riforme dovrebbe poi restringere i tempi per far passare la legge sulle unioni civili, che trionfalisticamente viene annunciata dai renziani per la fine del 2015. Quest’anno, infatti, la prima lettura della legge di stabilità avverrà al Senato e inizierà il prossimo 15 ottobre. L’impegno sarà lungo: 45 giorni, sino alla fine di novembre. A quel punto sarà già aria di Natale e di nuove vacanze. In tutto i dissidenti dem a Palazzo Madama sono 29. Le veline renziane li dividono tra dialoganti (bersaniani fedeli) e duri. Anche a loro sono state recapitate offerte e minacce. In questa estate di feste dell’Unità sono stati spesso tacitati come “i nuovi Bertinotti e Turigliatto” che vogliono dividere la sinistra e farla perdere. A uno di loro, una militante ha detto qualche giorno fa: “Ma perché non vi chiudete in una stanza e buttate la chiave fino a che non vi mettete d’accordo?”. Risposta: “Siamo disponibili, il problema è che non ci danno la stanza”.