il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2015
A Venezia passa in concorso “A Bigger Splash” di Luca Guadagnino, il secondo film italiano, e la critica si divide tra fischi e applausi. Ci ritroviamo su un’isola estrema in cui quattro aride esistenze solipsiste dall’ego pronunciato fingono di celebrare la liturgia della perfetta villeggiatura tra amici di vecchia data
“Pensi che sia venuto qui solo per i capperi?” chiede Ralph Fiennes a Tilda Swinton nei vicoli di Pantelleria e la domanda rivela lo stato dell’arte di una storia d’amore che non ha più futuro e tra rancori e nevrosi ha cancellato anche la luce del passato, i profumi, il divertimento culinario di insaporire i giorni insieme.
A Venezia passa in concorso lo splendido A Bigger Splash di Luca Guadagnino e ci ritroviamo in un altro mare, su un’isola estrema in cui quattro aride esistenze solipsiste dall’ego pronunciato fingono di celebrare la liturgia della perfetta villeggiatura tra amici di vecchia data.
Una famosa cantante afona e in via di riabilitazione (Swinton), il suo attuale compagno ornamentale che si arrabatta con i documentari (Matthias Schoenaerts), il manager di un tempo antico che tra un concerto e l’altro trovò il modo di amarla (e divertirla) follemente (Fiennes) e sua figlia, Dakota Johnson, elemento spurio che infrangerà il cristallo e ferirà definitivamente il quadro. Diretto magnificamente, con un uso della musica, dell’ambiente, dell’interazione (e quindi della direzione) degli attori del tutto originale nei nostri confini, Guadagnino realizza un film che teorizza di superarli fin dalla prima inquadratura e impianta nel più selvaggio dei luoghi di vacanza il gioco da camera di quattro diverse nevrosi che finiranno per combattersi non senza tragedie.
Scatti, ironia, dialoghi che accelerano il racconto e poi lo frenano in una distonia con l’esistente voluta e cercata, panorami, migranti, dammusi, ricchi ospiti che sfrecciano in Mehari, note, musica, (trionfo degli Stones), inquietudine, bellezza, marescialli dei Carabinieri (Corrado Guzzanti) ammaliati dalla celebrità degli ospiti distesi tra rocce e calette, cinema, a velocità massima, che come sostiene Guadagnino in conferenza stampa ricordando Marco Melani: “Si può fare e si può tranquillamente anche non fare, ma che se viene fatto ha senso solo in coincidenza con il rischio”.
Fin da quando sbarcò in laguna a 28 anni con The protagonists, Guadagnino ha sempre preferito la seconda opzione. La percorre anche stavolta, con quattro figure disturbanti, disperate, altere e non di rado ripugnanti con cui avere empatia sarebbe preoccupante. Un cinema che non si limita al compitino. Una visione che si schiera e si espone.
Mentre i giornali stranieri incensavano A Bigger Splash (Variety parla apertamente di capolavoro) forse confusi dal confine tra simpatia e finzione, i dissenzienti hanno espresso un netto rifiuto prendendo fiato e fischiando nelle proiezioni mattutine per pubblico e stampa.
Accadde anche per un film che poi trionfò oltreconfine come Io sono l’amore. Venezia è una Corrida. Fossimo in Guadagnino, serafico rispetto al dissenso: “Ognuno è libero di esprimersi come vuole” stapperemmo una bottiglia.