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 2002  febbraio 01 Venerdì calendario

I Padri della Patria e la valanga di giudizi negativi sul Sud

Sto seguendo il dibattito sui Borbone e il Mezzogiorno attraverso le lettere pubblicate nella sua pagina sul”Corriere” e alcune sue risposte. Mi sembra assodato che il Regno delle Due Sicilie fosse migliore di come ci è stato descritto dopo il 1861, cioè dopo l’unità d’Italia. Ma non credo che si possa sostenere, come qualcuno ha scritto, che i piemontesi ebbero un «animus» razzista o di discriminazione nei confronti delle popolazioni meridionali. Faccio queste affermazioni, pur ricordando quella lettera da Napoli (da lei citata in un suo libro), di Luigi Carlo Farini a Cavour: «Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Affrica: i beduini a riscontro di questi caffoni, sono fior di virtù civile».
Claudio Lanza, Torino
Caro signor Lanza, anch’io non credo che si possa parlare di «animus razzista» dei piemontesi o più in generale dei settentrionali nei confronti del Meridione a metà Ottocento. Però ci sono le prove, queste sì, di un forte e radicato pregiudizio negativo. Paolo Macry, uno tra i migliori storici italiani della generazione dei cinquantenni, ha studiato il fenomeno e ha tratto la conclusione che «a ridosso del 1860 ha preso forma un’immagine patologica del Sud». Proprio così: «un’immagine patologica».
E la prova non è solo in quella lettera di Farini, luogotenente di Vittorio Emanuele II a Napoli, che lei ha citato. In un’altra lettera, stavolta a Minghetti, lo stesso Farini scriverà: «Napoli è tutto, la provincia non ha popoli ma mandrie». Quanto al paragone con l’Africa, è destinato a tornare infinite volte. Scrive la”Gazzetta di Torino” nel ’61: «Per la gran parte di noi l’Italia è un po’ come l’Africa per i geografi: ne conosciamo i confini ma poi se vogliamo spingere un po’ più in là l’occhio e il pensiero, ci troviamo innanzi – come i geografi nell’Africa – le terre ignote». Nino Bixio: «In questo Paese i nemici o gli avversari si uccidono, ma non basta uccidere il nemico, bisogna straziarlo, bruciarlo vivo a fuoco lento... è un Paese che bisognerebbe distruggere o almeno spopolare e mandarli in Africa a farsi civili». Giuseppe Bandi ne I mille scrisse che persino la lingua dei siciliani era «africanissima».
Quintino Sella dirà che «tenuissimi sono i vincoli d’affetto che legano l’Italia settentrionale alla meridionale». Diomede Pantaleoni diceva che «la civiltà di queste province (del Sud, n.d.r.) è molto diversa ed inferiore a quella dell’Italia settentrionale». Aurelio Saffi parlava dell’ex Regno di Napoli come di un «lascito della barbarie alla civiltà del secolo XIX». Costantino Nigra dirà di aver trovato a Napoli «incapacità, corruzione, inerzia», e un «popolo instabile, ozioso e ignorante». Per Giuseppe Massari Napoli è «chiasso e sudiciume». Ancora all’inizio del Novecento, a conclusione dell’inchiesta parlamentare sui contadini del Mezzogiorno Eugenio Faina scriverà: «L’inferiorità del contadino meridionale è un prodotto storico (...). Dato l’ambiente di ignoranza e di miseria in cui ha vissuto per secoli il lavoratore della terra, qual meraviglia se il suo temperamento si è volto al male, se l’acutezza della mente ha degenerato in frode, la forza in violenza, l’amore in libidine?». Ed è evidente, caro signor Lanza, che i comportamenti dei nostri antenati che fecero l’Unità d’ Italia corrisposero alle idee che avevano in testa.