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 2011  marzo 17 Giovedì calendario

Petrarca e l’esistenza dell’Italia unita

Si continua a sentir dire che l’idea di Italia, come unica entità, sia di fatto un risultato acquisito solo negli ultimi due secoli. Ho riletto negli ultimi giorni una poesia latina del Petrarca, quando rientra da Avignone in Italia nel 1353. Pur avendo la Provenza forti legami con la Toscana del Petrarca, i suoi sentimenti espressi all’arrivo al Monginevro dimostrano, oltre che amore, una chiara idea di Italia Una nella cultura e nella storia. Se volesse pubblicare il testo italiano, che allego (tradotto da Enrico Bianchi) penso che gli Italiani verificherebbero che l’idea d’Italia è molto antica e profonda. Bruno Maraviglia bruno. maraviglia@roma1. infn. it
Caro Maraviglia, Non vorrei raffreddare le sue convinzioni, ma l’ode che Petrarca indirizzò all’Italia mentre attraversava le Alpi è anzitutto un componimento poetico e retorico dettato dalla gioia del ritorno. In altre circostanze aveva espresso sentimenti non troppo diversi per Valchiusa, il luogo della Provenza in cui aveva fissato la sua residenza nel 1337. Sei anni prima del ritorno in Italia aveva scritto al vescovo di Cavaillon: «Nessun luogo al mondo mi è più grato di Valchiusa o più opportuno ai miei studi. In Valchiusa fui fanciullo. E ritornatovi da giovane, la amata valle mi diede conforto nella sua posizione aprica. Uomo, trascorsi in Valchiusa dolcemente i miei anni migliori tessendo di candide fila l’ordito della mia vita. In Valchiusa, vecchio, desidero di condurre i giorni estremi; in Valchiusa, con il tuo conforto, mi è grato morire». Petrarca era cittadino romano e orgoglioso di esserlo. Ma la sua Italia è quella di cui ha scritto Paolo Mieli (Corriere dell’ 8 marzo) a proposito della tesi antirisorgimentale di un libro di Massimo Viglione apparso recentemente nelle edizioni Ares («1861. Le due Italie, identità nazionale, unificazione, guerra civile» ). È una Italia unita soprattutto dalla sua fede, dalla presenza del pontefice, dall’orgoglioso ricordo del suo ruolo centrale nell’Impero romano. È l’Italia che per tre secoli, prima del Risorgimento, era stata sempre più imbelle, irrilevante, soggetta ai capricci delle grandi potenze e alla miopia conservatrice di una larga parte del suo clero. Oggi noi non celebriamo quella Italia (di cui pure possiamo andare orgogliosi). Celebriamo la nascita della cittadinanza italiana: una condizione e una qualità che soltanto lo Stato unitario poteva darci. Detto questo, caro Maraviglia, l’ode è splendida e serve a collocare la nascita dello Stato in una più lunga prospettiva storica. Eccola: «Salve, terra santissima cara a Dio, salve, terra ai buoni sicura, tremenda ai malvagi, terra più nobile di ogni altra e più fertile e più bella, cinta dal duplice mare, famosa per le Alpi gloriose, veneranda per gloria d’armi e di sacre leggi, dimora delle Muse, ricca di tesori e di eroi, che degna d’ogni più alto favore reser concordi l’arte e la natura e fecero maestra del mondo. A te voglioso dopo tanto tempo io ritorno per non lasciarti mai più: tu alla mia vita darai grato riposo e alfine mi concederai nel tuo seno tanta terra quanta ne ricoprano le mie fredde membra. Pieno di gioia io ti contemplo, o Italia, dall’alto del frondoso Monginevro; rimangono alle mie spalle le nubi e un vento soave mi colpisce la fronte, mentre l’aria salendo con moto leggero mi accoglie. Riconosco la mia Patria e gioioso la saluto: salve, mia bella madre, salve o gloria del mondo!».