il Giornale, 26 gennaio 2011
Le polemiche di Pino Aprile e dei borbonici sono esagerate
Lo Stato borbonico era un fortilizio dell’ancien régime –
Caro Cervi, se Pino Aprile, citando cifre manipolate, quando non platealmente false – come già fece Francesco Saverio Nitti, criticato per questo dai conterranei Giustino Fortunato e Gaetano Salvemini – accusa i Savoia di aver compiuto nel Sud ogni sorta di abominio, una domanda sorge spontanea: allora perché quello stesso Sud nel 1946 al referendum votò compatto per gli aborriti Savoia? Un popolo maturo e coerente non vota per i suoi presunti «oppressori». Quando oltre un secolo fa Nitti pubblicò il suo libro «Nord-Sud», per denunciare la spoliazione delle presunte «ricchezze» del Sud da parte del perfido Nord, Salvemini, pugliese di Molfetta, da par suo esclamò: «Non mi meraviglierei se Nitti da buon meridionale avesse falsificato le cifre». Era proprio così; e con i nuovi libelli neoborbonici la storia si ripete. Ma il pubblico più colto e avveduto non la beve.
Romano Bracalini
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Caro Cervi, Nell’intervista sul Giornale il filoborbonico Pino Aprile alla domanda sugli eccidi di Pontelandolfo e Casalduni risponde che a Pontelandolfo i massacrati erano 5000 e a Casalduni 3000. Pino Aprile in primis omette di parlare dell’eccidio contro i Piemontesi avvenuto il giorno prima. Inoltre non fa storia ma inventa il numero dei massacrati, rispettivamente in 5000 e 3000. Nel 1861 gli abitanti di Pontelandolfo erano 4375 e non 5000 e gli abitanti di Casalduni erano 2649 e non 3000. Inoltre Melegari (protagonista di quel tempo) scrive che gran parte di abitanti «informati del vostro arrivo fuggirono di nottetempo». Infine il giornale «Popolo d’Italia» indicò in 164 le vittime di quell’eccidio. Queste notizie possono essere rintracciate sul sito dei comuni di Pontelandolfo e Casalduni.
Francesco Cillo
Cervinara (Avellino)
Cari amici, quello di Terroni è un “caso” editoriale prima che un “caso” storico. In quel pamphlet – come tale ottimo, lo attestano le vendite – molte migliaia di nostalgici e di revanscisti meridionali hanno trovato materiale in abbondanza per alimentare i loro furori. A un pamphlet non si deve chiedere né l’equilibrio dell’impostazione né l’esattezza delle pezze d’appoggio. È fatto per i tifosi.
In larga parte le tesi su cui si fonda la polemica borbonica mi sembrano pretestuose, i ricorrenti gridi di dolore del sud trovano motivazione in conquiste e soprusi che – anche quelli veri – risalgono a più d’un secolo e mezzo fa: dopodiché il mondo è cambiato più volte, ma sembra che quelle nefandezze remote pesino sull’Italia contemporanea più dei seicentomila caduti nella Grande Guerra e d’una immane catastrofe come l’8 settembre 1943.Bracalini ha ragione nel chiedersi come mai l’oppressa e depredata gente del sud abbia votato, nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946, per l’odiata monarchia sabauda, e il nord l’abbia invece rifiutata. Forse, verrebbe da rispondere, perché nella coscienza popolare degli eventi che contrassegnarono l’Unità non c’era più traccia. La si vuol ritrovare adesso, in un esercizio d’archeologia polemica. Sono amico di Pino Aprile. Ma azzardo egualmente, letta la lunga intervista fattagli dall’impareggiabile Stefano Lorenzetto, una domanda. Cosa ne è stato delle convinzioni che l’indussero a votare prima per la sinistra, poi per il repubblicano Ugo La Malfa, esponente d’un progressismo moderno e acculturato? Come ha potuto conciliare quelle sue simpatie politiche con l’elogio incondizionato e estremista d’uno Stato che, fosse o no prospero, fosse o no industrializzato, si fondava tuttavia sul binomio tronoaltare, era un fortilizio dell’ancien régime, e venne debellato da forze che bene o male – e spesso più male che bene portavano comunque con sé gli ideali d’un mondo nuovo e diverso?