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 2015  settembre 02 Mercoledì calendario

Google continua a rinnovarsi. Dopo la holding Alphabet, ha modificato anche il suo storico logo per renderlo più adatto agli smartphone. L’unica cosa che non cambia mai sono le tasse: Nei paesi in cui opera ne paga il meno possibile, trasferendo i suoi profitti in Paesi a fiscalità privilegiata come l’Irlanda. In Italia ha sborsato 12 milioni in 13 anni, una cifra decisamente bassa rispetto alla raccolta pubblicitaria che il gigante del web realizza qui da noi

Google continua a rinnovarsi. Dopo aver ristrutturato la società in una holding ribattezzata Alphabet, ieri ha cambiato anche il suo storico logo. Ne ha mantenuto i colori ma ha modificato i caratteri per renderlo più adatto agli smartphone. Ma c’è un fronte sul quale Big G preferisce tenersi nel solco della tradizione: quello delle tasse. Nei paesi in cui opera ne paga il meno possibile, trasferendo i suoi profitti in Paesi a fiscalità privilegiata come l’Irlanda. A fare il conto di quanto Google abbia versato complessivamente nelle casse dell’Erario italiano è stata Altraeconomia, che ha ricostruito la storia fiscale italiana di Mountain View da quando è sbarcata nel Paese, ormai tredici anni fa, il 27 agosto del 2002, data di nascita di Google Italy. Da allora e fino alla fine dello scorso anno, la società americana ha pagato imposte in Italia per 12 milioni di euro. Una cifra decisamente bassa rispetto alla raccolta pubblicitaria che il gigante del web realizzerebbe in Italia. Un dato quest’ultimo sul quale c’è un estremo riserbo. L’Autorità delle Comunicazioni lo conosce, ma si è impegnata con Google a non diffonderlo. L’unica indicazione è contenuta nell’ultima relazione annuale del garante, dove si spiega che la quota del mercato della pubblicità on line di Big G è superiore al 30%. Si tratta di un mercato da 1,6 miliardi, il che significa che se fosse anche solo il 30% sarebbero quasi 500 milioni. Ma è probabile che Google superi quella percentuale avvicinandosi più ad altre stime che parlano di un miliardo. Comunque sia Google Italia non fattura la pubblicità. I suoi circa 54 milioni di ricavi annui sono commissioni per servizi forniti a varie altre società che appartengono al gruppo. I ricavi della pubblicità, invece, finiscono in Irlanda. Il governo ha già provato qualche timido intervento nei confronti delle società del web. Nell’ultima finanziaria ha inserito un comma che le obbliga a usare indicatori di profitto diversi dai costi sostenuti per i servizi. Già questo ha creato scompiglio in Google Italy, con il collegio sindacale che ha chiesto informazione sui prezzi di trasferimento dei beni tra le società appartenenti allo stesso gruppo. Ma le informazioni non sono state fornite.
LE INDAGINI
Sulla questione fiscale Google ha anche un contenzioso aperto con l’Agenzia delle Entrate e un’indagine della Procura di Milano. Ma ora potrebbe intervenire il governo riprendendo in mano una proposta del sottosegretario Enrico Zanetti che prevede una ritenuta del 25% sui pagamenti effettuati in Italia alle web company. Una misura che vale tre miliardi e che potrebbe trovare spazio nella prossima legge di stabilità. In realtà non è la prima volta che si parla della possibilità di tassare i Big di internet. Una proposta era arrivata anche dal presidente della Commissione bilancio della Camera, Francesco Boccia, il cui fulcro era l’obbligo di dotare di una partita Iva italiana le società che operano nell’on line. Ma a stoppare l’iniziativa del parlamentare Dem era stato Matteo Renzi in persona in uno dei suoi primi atti di governo. Insomma, se tecnicamente la web tax non è impossibile, fino ad oggi le varie proposte si sono scontrate con la volontà politica di intervenire. Questa volta, tuttavia, potrebbe essere diverso. I tre miliardi di euro che sarebbe possibile incassare grazie ad una misura del genere, sarebbero una tentazione forte anche per gli economisti di Palazzo Chigi, da sempre freddi su queste iniziative, ma alle prese con una manovra finanziaria da trenta miliardi di euro.