la Repubblica, 21 marzo 2011
L’unità monetaria e l’antica ripugnanza per le banconote
Baiocco, carantano, carlino, doppia, ducato, fiorino, franceschino. Ma anche francescone, lirazza, marengo, onza, paolo, papetto, piastra, quattrino, scudo. E pure soldo, svanzica, tallero, testone fino agli zecchini che Pinocchio, su consiglio del gatto e della volpe, sotterrò nel campo dei miracoli, al paese dei Barbagianni. Prima dell´Unità, in Italia c´era infatti una vera e propria babele monetaria: sei diversi sistemi e ben 236 diverse monete metalliche che diventano addirittura 282 se si aggiungono quelle delle province venete e romane al momento del loro ingresso nel Regno. Finché il 24 agosto 1862 Vittorio Emanuele II firmò la legge che unificava il sistema monetario. E allora nacque la cara, vecchia lira, «il monumento più popolare, più costante e più universale che rappresenti l´unità della Nazione», come si legge nella relazione al provvedimento.
E´ un cammino faticoso quello che accompagna la nascita della moneta italiana. Una mostra-racconto promossa dalla Banca d´Italia sotto l´alto patronato del Presidente della Repubblica – dal 5 aprile a Roma, palazzo delle Esposizioni – ne ripercorre le tappe attraverso immagini e documenti d´archivio, grandi collezioni e perfino installazioni multimediali con tanto di «isole tematiche». All´interno, macchine industriali e oggetti d´uso comune, libri antichi e rare monete d´epoca d´oro, d´argento, bimetalliche. Ma soprattutto, le banconote dei nostri antenati: dalle primissime, quelle col faccione di Cavour al centro, stampate dalla Banca Nazionale nel Regno d´Italia, fino a quelle,da 1 lira con al centro l´Italia turrita.
«La moneta dell´Italia unita», così s´intitola l´esposizione: «dalla lira all´euro», è il sottotitolo perché quella europea è la seconda grande unificazione monetaria, che accompagna la nostra vita insieme a 300 milioni di cittadini dalla notte di Capodanno del 2002, quando dodici paesi Ue si ritrovano ad avere una divisa unica, valida per tutti. Passato remoto e presente immediato: in mezzo niente, salvo qualche accenno qua e là per meglio «leggere» la transizione. Si saltano le Am lire, per esempio, banconote made in Usa che circolavano inizialmente nel sud liberato e poi dappertutto, segno mortificante della sconfitta; così come non ci saranno gli odiatissimi mini-assegni, simbolo tangibile dell´inflazione intorno alla metà degli anni Settanta. O i fogli da diecimila grandi come un lenzuolo che occorreva piegarli in quattro per infilarli nel portafoglio. Non si vedranno neppure i biglietti da cinquemila, tutti verdolini, che trent´anni fa ospitavano l´immagine di Colombo con le sue caravelle, ma nel tempo hanno cambiato più volte pelle rimpicciolendosi, allungandosi, stilizzandosi: c´era Giuseppe Verdi, con fitta peluria e lunghi basettoni perché prima delle filigrane speciali, era così che si rendeva la vita difficile ai falsari. E l´ultimo tipo, quello che ha chiuso l´era della lira per lasciare il posto all´euro, ospitava l´immagine di Vincenzo Bellini, anch´egli riccioluto. Ci sarà invece un esemplare da 500 mila lire, l´ultimo stampato prima dell´euro, quello azzurrino col busto di Raffaello e dietro un particolare della Scuola di Atene.
Per rafforzare il nesso che unisce il Risorgimento all´Europa, la mostra si ferma al circolante dell´Italia unita e a tutti i problemi che i governanti di allora hanno dovuto affrontare. Basti pensare che alla vigilia dell´Unità esistevano ben nove banche che emettevano i biglietti. Poi si ridussero a sei. L´esperienza del pluralismo, insediato per evitare contrasti politici tra i diversi gruppi regionali, si rivelò fallimentare: fu tra le cause dei dissesti bancari che portarono alla riforma del 1893-94 da cui nacque la Banca d´Italia.
Quanto faticarono i biglietti a impiantarsi in una Italia che all´epoca era ancora analfabeta, diffidente e resistente al cartaceo. Una cartina elettronica dello stivale, se toccata, svela che nel 1861 il 78% non sapeva né leggere e né scrivere e che al sud la percentuale arrivava al 90; la speranza di vita alla nascita era di trent´anni, una delle più basse in Europa e i cittadini, prevalentemente contadini, quando riuscivano ad avere un po´ di denaro, lo pretendevano metallico e sonante: nel 1981 la moneta, in tutte le sue svariate forme, rappresentava il 78% dei mezzi di pagamento circolanti. Il biglietto cartaceo veniva considerato addirittura ripugnante, come scriveva Verga nelle Novelle Rusticane: «Ogni volta che Mazzarò vendeva il vino, ci voleva più di un giorno per contare il denaro, tutto di 12 tarì d´argento, perché lui non ne voleva di carta sudicia per la sua roba».