Il Sole 24 Ore, 28 agosto 2015
L’economia americana torna a correre: +3,7%. Il Pil del secondo trimestre rivisto al rialzo. Un’accelerazione a tutto campo, trainata dai consumi come gli investimenti, dall’aumento delle scorte aziendali e dall’export
La ripresa economica americana calma gli investitori e dà nuova spinta a Wall Street. Il prodotto interno lordo degli Stati Uniti è cresciuto del 3,7% nel secondo trimestre, facendo nettamente meglio di quanto inizialmente stimato, il 2,3%, e delle attese, ferme al 3,2 per cento. Un’accelerazione a tutto campo, trainata dai consumi come gli investimenti, dall’aumento delle scorte aziendali e dall’export. Il passo ritrovato dall’economia è stato il benvenuto al Simposio della Federal Reserve di Jackson Hole, tra banchieri centrali internazionali che fanno i conti con turbolenti piazze finanziarie e frenate dell’espansione cinese. E tra gli investitori: gli indici di Borsa hanno rafforzato il rally della seduta precedente, scattando ulteriormente in chiusura di contrattazioni (S&P 500 +2,43%, Dow Jones +2,27%, Nasdaq +2,45%).
In due sedute il Dow Jones ha adesso ripreso quasi mille punti. Sia il Nasdaq che il Dow sono riusciti a riemergere dalla correzione, un obiettivo raggiunto nella giornata precedente dall’S&P 500 con la sua impennata di circa il 4 per cento. «Gli operatori stanno riconsiderando gli effetti della frenata cinese – ha detto Giri Cherukuti, gestore di Oakbrook Investments – E di dati economici americani moderatamente positivi». Possono inoltre derivare sollievo dalla cautela della Fed: Mickey Levy, senior economist di Berenberg, crede che esistano ragioni economiche per una stretta già a settembre, ma che la Banca centrale potrebbe aspettare ugualmente proprio per dar tempo ai mercati di assorbire le nuove tensioni e ai dati di offrire ulteriori conferme di tenuta.
La crescita statunitense, nel secondo trimestre, ha potuto contare su investimenti aziendali – edifici, macchinari, ricerca e sviluppo – aumentati del 3,2% anziché diminuiti dello 0,6% come originalmente temuto. Segno di fiducia delle imprese nel futuro e di bilanci solidi, con profitti al netto delle imposte aumentati del 5,1% rispetto al primo trimestre e del 7,3% dall’anno scorso una volta depurati da voci straordinarie. La spesa edilizia è salita del 7,8% dal 6,6% e i consumi, due terzi dell’economia, hanno messo a segno un incremento migliorato al 3,1% dal 2,9 per cento. La bilancia commerciale ha portato in dote 0,23 punti al Pil, solo il secondo contributo positivo dall’inizio del 2014, grazie a un balzo del 5,2% delle esportazioni. Anche la spesa pubblica è lievitata dal 2,6% contro lo 0,8% ipotizzato.
Se l’economia americana è giunta in migliori condizioni davanti alla sfida dei nuovi terremoti, questo non significa però che il cammino della ripresa sia spianato. Nella prima metà dell’anno ha comunque marciato a un modesto passo del 2,2 per cento. E ci sono dense nuvole all’orizzonte che possono mettere in dubbio ulteriori accelerazioni: se gli analisti di Deutsche Bank scommettono su un 3% altri, Fed compresa, sono più prudenti. Le scorte aziendali sono aumentate al ritmo di 121,1 miliardi, contribuendo 0,22 punti al Pil nei tre mesi scorsi, e per questo potrebbero ora rallentare. L’export potrebbe essere danneggiato da tensioni valutarie e crisi cinese. Aziende di prodotti al consumo quali Apple potrebbero resistere con una tenuta dei consumi in Cina: il titolo ha guadagnato ieri sull’onda di spedizioni globali robuste di Apple Watch nel secondo trimestre, 3,6 milioni di esemplari. Ma potrebbero soffrire gruppi industriali e di materiali di base.
I consumi interni potrebbero inoltre essere ostacolati dalle stesse correzioni di Borsa e cadute di risparmi e ricchezza legata ai mercati. Numerosi fondi hanno subito ingenti perdite nell’ultimo mese, da Omega Advisors che ha ceduto il 10% a Third Point e Pershing Square che hanno azzerato i guadagni dell’anno. E le banche hanno fatto scattare «margin calls», le richieste di copertura agli investitori, forzandoli a vendere titoli o rafforzare il capitale a garanzia di prestiti. I prestiti legati a investimenti azionari nell’ultimo anno sono saliti del 37% a Morgan Stanley, del 14% a Jp Morgan e del 16% a Wells Fargo.