Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 28 Venerdì calendario

Dieci anni dopo l’uragano Katrina, la nuova vita di New Orleans: «Rinata più bella di prima ma senz’anima». I cantieri vanno avanti e cancellano le cicatrici, ma i quartieri poveri e caratteristici restano indietro: «La nostra gente non c’è»

«Sugar, chiudi tutto e porta su la torcia, aspettiamo qui, prima o poi il mostro passerà, e l’acqua tornerà indietro». Camille e Sugar sono i protagonisti di «The Rising Water», primo capitolo della trilogia di John Biguenet (assieme a «Shotgun» e «Mold») che trascorrono la notte dell’uragano Katrina, nella soffitta della loro casa prima di fuggire. I due ripercorrono la loro vita, tra racconti e vecchi ricordi custoditi nei bauli del sottotetto, fiduciosi che prima o poi quell’incubo passerà, e la loro vita tornerà ad essere quella di sempre. È la speranza che dà la forza di tornare nella loro a casa, tra la loro gente.
Le parole di Sugar e Camille sembrano riecheggiare tra le strade di «Big Easy» a ridosso della confluenza dell’Industrial Canal col fiume Mississippi. Siamo a «Lower Ninth Ward», il quartiere di Nola (questo l’acronimo usato per la città della Louisiana) più devastato dalla furia di Katrina.
Neppure la natura è democratica quando scatena la sua ira: questo posto era tra i più poveri della città, ed è quello che ha pagato il prezzo più alto, per vite perse, case distrutte, e famiglie mai tornate. Il Canal Bridge, il ponte dove in centinaia la notte del 29 agosto 2005, si rifugiarono per non essere travolti dalle acque, domina il muro che costeggia il canale. Una barriera fatta per impedire una nuova tragedia, ma col peccato originale di essere stato costruito tardi.
Lavori in corso
Il silenzio – spezzato dai suoni metallici dei tanti cantieri della zona – la fa da padrone, a rispettare il lutto di chi ha perso i propri cari. «Il 26 agosto mi sono seduto con mio nonno sotto al portico di casa sua – racconta Adam che allora aveva 27 anni -. Abbiamo parlato, ci siamo abbracciati e salutati. Quella è stata l’ultima volta che l’ho visto, è morto sotto l’uragano, il suo corpo lo abbiamo trovato solo due mesi dopo». Adam in quel quartiere è tornato, vive in una delle nuove case finanziate da Brad Pitt, «abitazioni a norma», che si alternano a lotti di terreno rasi al suolo dall’acque funeste, e scheletri di case, mai ricostruite e mai definitivamente abbattute. Mentre una lapide ricorda i caduti, e un cartello chiede a George W. Bush di «pensare a New Orleans e non all’Iraq».
Le colpe dell’uomo
Dieci anni dopo come è cambiata New Orleans? A «Katrina 10», la convention organizzata in città per il decimo dall’uragano, si dibatte su questo, ci si confronta, si snocciolano dati. Il 94% della popolazione è tornata in città, 1,36 miliardi di dollari investiti, raddoppio dei fondi federali a disposizione della città rispetto al 2010, anno della Marea nera, l’altro disastro che ha ulteriormente piegato l’economia del delta del Mississippi. A «Katrina10» arriverà anche Bill Clinton per dire la sua a nome della fondazione di famiglia, mentre il presidente Barack Obama, nella cerimonia in ricordo, parla di «fallimento del governo, risposta lenta, disastro causato dall’uomo e diseguaglianze». Ma dice anche che «la ricostruzione è in atto e che si farà di più».
Il quartiere francese
Questo è quello che dicono a «Katrina10», noi invece ci rimettiamo per strada. Lasciamo Lower Ninth Ward e gli altri quartieri più difficili come Bayou Beinevenue e New Orleans East. A St. Claude Avenue, l’arteria che porta verso il French Quarter, incontriamo Ronell, del ristorante Gene’s Po Boy, panino con i gamberetti fritti «perla» della cucina creola. «Dopo Katrina sono scappato per tornare un anno dopo e riaprire questo posto che è qui da circa 50 anni». «Stanno ricostruendo il quartiere, tante persone sono tornate, ma servono soldi, vogliamo che a tornare sia prima la nostra gente». Ha paura di una nuova Katrina? «Abbiamo imparato a convivere con questa paura, ma non ce ne andremo più, il nostro posto è questo». Le sue parole fanno eco con quelle di Carroll Erbert, il gommista della zona, che qui tutti conoscono per il suo «track» rosso. Anche lui è stato tra i primi a tornare, ma ci dice che l’uragano dopo aver ucciso rischia di «cambiare l’anima della città». Come il French Quarter, oggi appannaggio esclusivo di alberghi e turisti, anche Brad e Angelina vi hanno acquistato una magione. «Ricordo quella sera, le previsioni ci dissero che se la perturbazione non cambiava rotta per le 20, erano guai, loro non si sbagliavano mai – racconta Lilly Rem -. Alle 20 l’uragano proseguì la sua traiettoria.
Impacchettammo le nostre cose come per partire per un lungo weekend. In quella casa non ci abbiamo più vissuto». La vita del quartiere francese è una cartolina animata da negozi, locali e bar tra la esagerata Bourbon Street e la più sobria Royal, sempre sulle note del jazz. Rincontriamo Mike proprietario di una paninoteca, lo conoscemmo nel 2008, in occasione di un altro uragano, Gustav. Era sempre fine agosto. Mike rimase unico avamposto aperto in una Big Easy spettrale e blindata per paura dei saccheggi: «Andate a Garden District capirete molte cose».
I quartieri «bene»
Garden District è un quartiere giardino, non solo nel nome, è un distretto residenziale della New Orleans bene, dove ville con giardini all’inglese si alternano a case dalle tonalità caraibiche ben curate. Ristoranti, pub e negozi vintage si succedono a centri di benessere, librerie e negozi di arredamento in stile. Una città nella città. Qui Katrina è arrivata, ma meno incattivita. È qui che molti «urban guy» delle grandi metropoli, New York, Los Angeles e Chicago, hanno deciso di trasferirsi, in cerca di una vita più tranquilla e meno costosa. Una casa con piscina costa un milione di dollari, meno di quanti nella Grande Mela se ne devono investire per un appartamento con soggiorno e due stanze da letto. E anche alcune celebrità hanno deciso di fare il grande passo, come Bryan Batt della serie «MadMax» tornato alle origini. «Speriamo che l’arrivo di questi nuovi inquilini favorisca il ritorno di chi non è mai tornato dopo Katrina – ci dice Philippe, antiquario di St. Charles -. O questo posto rischia di diventare bello e senz’anima». Bello e senza anima come sarebbe stata la New Orleans di John Biguenet se Camille e Sugar non fossero tornati a casa, perché «gli errori e gli orrori dell’uomo non possono cancellare l’attaccamento alla terra, alla propria identità e alla propria comunità».