Corriere della Sera, 28 agosto 2015
Anche l’America torna a crescere, e non solo grazie all’export. Consumi e investimenti sono saliti più di quanto si era calcolato in precedenza. Così il prodotto interno lordo nel secondo semestre è aumentato del 3,7% rispetto al 2,3% della stima provvisoria. E’ una correzione importante. Racconta che tra le famiglie americane è tornata la fiducia, indispensabile per guardare al futuro con meno ansia
L’America torna a crescere, a sorpresa, in modo robusto non solo grazie all’export, ma facendo leva sulla domanda interna, il motore che tradizionalmente fa correre la sua economia: consumi e investimenti sono saliti più di quanto si era calcolato in precedenza. Così il prodotto interno lordo (Pil) nel secondo semestre è aumentato del 3,7% rispetto al 2,3% della stima provvisoria. È una correzione importante. Racconta che tra le famiglie americane è tornata la fiducia, indispensabile per guardare al futuro con meno ansia. I motivi? Innazitutto la forza del mercato del lavoro, con la discesa della disoccupazione fino al 5,3% a luglio (anche se la partecipazione alla forza lavoro no è tornata ai livelli pre crisi). Ma all’ottimismo contribuisce di sicuro la benzina a buon mercato, grazie al calo significativo delle quotazioni del petrolio, che da un lato ha fatto ripartire gli acquisti di automobili di grossa cilindrata, dall’altro permette un risparmio sostanzioso ogni volta che si fa il pieno. Senza dubbio però la voglia e la possibilità di spendere dipendono soprattutto dal recupero del mercato immobiliare, con i prezzi delle case tornati a salire stabilmente.
Di fatto tutte le componenti del Pil sono migliorate, inclusa la spesa del governo per la difesa, l’altra grande spinta alla ripresa però è arrivata dalle im- prese. Sono tornati a crescere gli investimenti strutturali in macchinari e attrezzature, in brusco declino nel primo trimestre a causa della caduta del prezzo del petrolio. Ma, soprattutto, sono aumentati gli investimenti in ricerca e sviluppo e software, riuniti sotto la voce «proprietà intellettuale». Fo r s e è p ro p r i o q u e s t a l a chiave principale dell’accelera- zione. Gli investimenti che pro- ducono innovazione sono aumentati progressivamente in modo sempre più veloce, con un rialzo totale del 7,9% negli ultimi 4 trimestri: è l’incremento maggiore dal 2007, tre volte più grande della crescita dell’intera economia. Il fatto è che quando le aziende spendono di più in ricerca e sviluppo, non solo fanno aumentare il Pil nel breve termine, ma producono effetti positivi anche nel lungo periodo, perché aumenta la produttività. L’innovazione, che ha creato i nuovi giganti planetari del nostro tempo, come Google e Facebook, nutre i settori più avanzati dell’economia americana, quelli in concorrenza con l’este- ro. È da qui che passa la capacità americana di far ripartire velocemente l’economia, anche dopo una profonda recessione. Certo, poi nel Dna dell’America sono iscritte altre caratteristiche genetiche, quelle che rendono il Paese storicamente dinamico e reattivo. Prima fra tutti la flessibilità vera non solo del mercato del lavoro, ma dell’intera economia, popolazione inclusa: leggi mobilità. Poi, l’esistenza di un mercato dei capitali, alternativo al sistema bancario, che funziona e promuove l’imprenditorialità: dal private equity al venture capital fino a Wall Street, il più grande mercato azionario del mondo.
Ancora: sono fattori decisivi il basso costo dell’energia e la bassa dipendenza dall’import, ancora più evidente dopo l’aumento della capacità produttiva americana legata ai giacimenti di shale gas e shale petrolio, e più di recente al calo del greggio. Anche la politica monetaria della banca centrale americana gioca un ruolo fondamentale.
La Federal Reserve ha un doppio mandato che non guarda soltanto all’inflazione, che deve essere vicina ma sotto il 2%, ma tiene conto anche dello stato di salute dell’economia, in particolare dell’occupazione. La Fed non ha esitato a lanciare un massiccio programma di acquisti di titoli sul mercato, il cosiddetto «quantitative easing», per stimolare l’economia all’indomani della Grande Recessione.
E mantiene i tassi di interesse quasi a zero dal 2008. Questo, tra l’altro, ha permesso al dollaro di svalutarsi contro l’euro e ha trainato l’export Usa. Adesso la presidente Janet Yellen ha il problema opposto: quando avviare la normalizzazione, in un scenario in continuo movimento. La questione aperta è se il declino dei mercati azionari in tutto il mondo, originato dal rallentamento dell’economia cinese, indebolirà anche l’economia degli Stati Uniti nei prossimi mesi. Di certo, non ne fermerà la corsa.