Tuttolibri, 17 gennaio 2015
Cixi, l’imperatrice col tacco 14
La selezione nazionale delle concubine destinate all’imperatore Xianfeng, detto il «Dragone claudicante» per una caduta da cavallo, avvenne nella primavera del 1852. Alle candidate non si chiedeva di essere belle ma di mostrare buona educazione e soprattutto grazia e modestia. La sedicenne che passerà alla storia come Cixi, ovvero «gentile gioiosa», veniva dalla Manciuria. E un po’ sfrontatamente alzò gli occhi: con quello sguardo colpì il sovrano. Non era alta ma si faceva notare con il tacco di 14 centimetri posizionato al centro del piede e i lunghi abiti. Aveva mani delicate con le unghie del mignolo e dell’anulare lunghe 10 cm e protette da un rivestimento di giada e oro, il viso era bianco di cipria, il labbro inferiore dipinto di rosso. Gli occhi erano evidenziati con il kohl. Cixi fu scelta come preferita imperiale di sesto grado, ovvero fu collocata a un livello molto basso e venne alloggiata nella Città proibita con le altre 19 mogli. Ebbe diritto a tre chili di carne al giorno e a quattro cameriere personali, mentre all’imperatrice Zhen di chili ne erano destinati ben 13, una mucca, dieci cameriere e numerosi eunuchi.
Cixi aveva però irritato subito il consorte che, nonostante fosse cagionevole di salute, amava molto il sesso: nell’intimità aveva preteso di dargli consigli sugli affari politici e mal gliene incolse. L’imperatore morì nel 1861 e la piccola Cixi, in perfetta sintonia con Zhen, rischiando la propria vita mise in atto uno spettacolare colpo di Stato. Esautorò i reggenti e le due imperatrici divennero la massima autorità del paese. A un’appartenente al gentil sesso non era concesso di occuparsi del Celeste Impero. Cixi, che era assai portata alla gestione dei pubblici affari, vi si applicò per interposta persona: nominò imperatore il figlio di cinque anni e per non violare le tradizioni si posizionò dietro a un paravento di seta giallo alle spalle del trono laccato d’oro su cui sedeva il bambino.
Alla scomparsa di Zhen divenne imperatrice, fino all’anno della morte nel 1908. A soli 25 anni cominciò ad amministrare il paese, poi combatté la prima guerra cino-giapponese, sostenne i promotori della rivolta dei Boxer e quando le truppe straniere reagirono conquistando Pechino ed entrando addirittura nella Città Proibita, fu lei a trattare la resa. Fece fronte a ribellioni, carestie e tradimenti ma soprattutto aprì le porte della Cina al progresso tecnologico.
Oggi, dopo circa cento anni in cui si è parlato assai poco dell’
Imperatrice Cixi. La concubina che accompagnò la Cina nella modernità
è la scrittrice Jung Chang a far luce sulle sue imprese (in libreria dal 22 gennaio). Autrice di una poderosa biografia di Mao Tse-tung e del bestseller Cigni selvatici, la Chang nel suo bel racconto dimostra che Cixi, subentrata al posto dello scomparso Xiang-feng profondamente antioccidentale, invertì la rotta. Si alzava tra le cinque e le sei del mattino, talvolta alle quattro, si abbigliava con scarpe guarnite di perle e acconciature ingioiellate e si sedeva dietro al paravento: da lì tenne le redini del suo paese introducendo la rete ferroviaria, l’elettricità, il telegrafo, il telefono, la medicina occidentale, un esercito e una flotta di stampo moderno.
Convinse i conservatori ad abbandonare il vecchio sistema educativo, la stampa ebbe un enorme sviluppo e venne abolita la terribile pratica della fasciatura dei piedi femminili.
Cixi ebbe un solo momento di défaillance: alla soglia dei trent’anni si affezionò ad An Dehai, un eunuco che aveva otto anni meno di lei. I cortigiani, resisi conto che era innamorata, fecero giustiziare il prediletto. Anche lei però non scherzava: alcuni suoi avversari politici finirono «suicidi», impiccati con una sciarpa di seta bianca. Dopo che il figlio diciannovenne – assolutamente inadatto a governare – le fu portato via dal vaiolo, nominò imperatore il piccolo nipote Guangxu, tenendo però saldamente nelle sue mani il timone del Celeste Impero. Quando poi Guangxu arrivò alla maggiore età lo esautorò con un nuovo colpo di Stato.
Come racconta la scrittrice Pearl S. Buck, rammentando che fu letteralmente «adorata» dal suo popolo, sotto il suo governo il tasso di violenza diminuì rispetto alle crudeltà messe in atto dai suoi predecessori. Bernardo Bertolucci ne L’ultimo imperatore l’ha rappresentata nel letto di morte mentre designa Puyi, di due anni, come suo successore: quest’ultimo durante il regime di Mao diventò il guardiano dell’Orto Botanico di Pechino. La tomba di Cixi fu violata e distrutta, la sua memoria sprofondò nell’oblio e tutti suoi meriti vennero cancellati. «Cixi è stata considerata tirannica e brutale, o assolutamente incompetente», sostiene l’autrice. «Ma fu molto svantaggiata: era una donna e poté governare solo in nome dei suoi figli, e pertanto il suo vero ruolo non è mai stato reso noto».