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 2009  luglio 08 Mercoledì calendario

Napoleone III, nemico dell’unità italiana

Il denso saggio che Eugenio Di Rien­zo dedica ai rapporti tra la politica estera di Napoleone III e la nascita dell’Unità d’Italia sull’ultimo nume­ro della «Nuova rivista storica» si apre con una stoccata ai colleghi Alberto Ma­rio Banti e Paul Ginsborg, curatori degli Annali XXII della Storia d’Italia Einaudi e autori del saggio «Per una nuova storia del Risorgimento». I due illustri studiosi – dice Di Rienzo, docente di storia mo­derna alla Sapienza di Roma – «ignora­no il contesto diplomatico e internazio­nale per concentrarsi sulla storia della cultura e delle mentalità, esaltando le vir­tù di un presunto movimento di massa del tutto autoctono e spontaneo. In real­tà, come ci hanno insegnato Gioacchino Volpe e Franco Valsecchi, il Risorgimen­to non sarebbe stato possibile senza il grande lavorìo diplomatico. E Rosario Romeo nel suo Cavour ha scritto pagine illuminanti sul carattere non popolare della Seconda guerra d’indipendenza.
Il contesto internazionale non deve es­sere dunque sottovalutato, ma in esso non bisogna sopravvalutare la spinta che all’Unità italiana diede Napoleone III. E in questo Di Rienzo va contro l’in­terpretazione di un imperatore dei fran­cesi totalmente filoitaliano avanzata da un protagonista della storiografia france­se e studioso del nostro Paese, Pierre Milza. Seguiamo perciò il ragionamento di Di Rienzo che nel saggio «Italia, Fran­cia, Europa da Solferino all’Unità (1859-1861)», basato soprattutto sulle car­te diplomatiche dell’epoca, anticipa alcu­ni importanti elementi di una sua vasta biografia dedicata a Napoleone III.
«Napoleone III – spiega Di Rienzo – aveva l’idea di costruire una grande zona d’influenza nella pianura padana per bloccare ogni velleità austriaca. Di qui l’appoggio dato alla costruzione di una media potenza, il Regno Sabaudo, che doveva comprendere la Lombardia, il Ve­neto e arrivare sino agli Appennini, escludendo la Toscana, lo Stato pontifi­cio e il Regno delle Due Sicilie. Dal pun­to di vista francese un tale obiettivo era perfettamente comprensibile: quale Pae­se vedrebbe di buon occhio la nascita di una grande potenza vicina?». Più che a un’Italia unita Napoleone pensava a una federazione di Stati italiani in cui il Pa­pa, con lo Stato pontificio, avrebbe avu­to la funzione di arbitro e la Francia la supremazia politica. Quest’idea naufra­gò per l’abile iniziativa di Cavour.
«Si è sempre detto – continua Di Rienzo, che vuole sottolineare gli ele­menti di dissonanza rispetto all’immagi­ne di un Napoleone III favorevole all’Uni­tà – che la Francia firmò l’armistizio di Villafranca (11 luglio 1859), successivo al­la vittoria di Solferino, perché aveva pau­ra che la Prussia entrasse in guerra a fian­co dell’Austria, minacciando i confini re­nani dove c’erano pochissime truppe. In realtà la Prussia non aveva alcuna inten­zione di sferrare un attacco alla Francia. E questo Napoleone III, alleato della Rus­sia, lo sapeva perfettamente, come dimo­strano le corrispondenze diplomatiche da Pietroburgo. Accettare Villafranca e ri­durre la campagna d’Italia a un evento di portata limitata, pur con l’importante cessione della Lombardia al Piemonte, non fu dunque un atto obbligato, ma una decisione tesa a frenare le ambizio­ni di Cavour».
Dopo la Seconda guerra d’indipenden­za Napoleone III, osserva Di Rienzo, con­tinuò in tutti i modi a osteggiare il pro­getto di un’Italia unita: «Per esempio, do­po lo sbarco dei Mille a Marsala, la Fran­cia propose all’Inghilterra di unire le due flotte per creare un pattugliamento nava­le che impedisse ai garibaldini di arriva­re in Calabria. L’idea di Napoleone era di mantenere i Borboni nel Sud peninsula­re e offrire a un’altra casa regnante la Si­cilia». Un ulteriore segnale di ostilità Di Rienzo lo vede nell’interruzione delle re­lazioni diplomatiche successiva alla vio­lazione dei confini dello Stato pontificio da parte dell’esercito sabaudo e alla bat­taglia di Castelfidardo dell’11 settembre 1860. Ma Napoleone si rendeva conto di non poter fare a meno delle relazioni con l’Italia che stava nascendo. Ciò avreb­be significato lasciar mano libera agli in­glesi.
La Francia riconobbe tardivamente il nuovo Regno, arrivò dopo la Gran Breta­gna, gli Stati Uniti e persino dopo la Tur­chia. Soltanto il 12 luglio 1861 l’imperato­re francese scrisse a Vittorio Emanuele II una lettera da Vichy in cui si diceva «feli­ce di poter riconoscere il nuovo Regno d’Italia», ma nello stesso tempo ribadiva che «le circostanze sono sempre state ta­li da impedirmi di sgomberare Roma». Infine, Napoleone III pur scrivendo di non «pretendere di interferire con le de­cisioni di un popolo libero» affermava che «un’aggregazione nazionale comple­ta non possa essere durevole che a patto di essere stata preparata dall’assimilazio­ne degli interessi, delle idee, dei costu­mi di vita» e, quindi, che «L’Unità avreb­be dovuto precedere l’Unione».
L’atto finale di questa politica anti ita­liana si svolse alla vigilia della Terza guer­ra d’indipendenza, nel 1866: «Napoleone III da un lato spingeva l’Italia a entrare in guerra a fianco della Prussia contro l’Au­stria, e contemporaneamente firmava con questa un accordo segreto in cui si diceva che in caso di sconfitta dei prussia­ni, se in Italia si fossero verificate solleva­zioni popolari per portare sul trono i vec­chi principi che regnavano prima del 1859, la Francia non avrebbe opposto resi­stenza. Parigi diceva esplicitamente di te­nere soltanto all’integrità del territorio co­stituito da Piemonte, Lombardia e il Vene­to che si sarebbe ricongiunto con l’Italia. La sorpresa venne dalla vittoria delle baio­nette prussiane, date invece per perdenti da tutte le diplomazie europee, Francia in testa». I bersaglieri, infine, entrarono a Roma il 20 settembre 1870, quando i fran­cesi dovettero richiamare il proprio con­tingente per un’ultima inutile difesa con­tro quei prussiani che avrebbero voluto li­quidare quattro anni prima.